Premio Bologna in Lettere 2020 – Nota critica di Francesca Del Moro a Graziella Sidoli

Premio Bologna in Lettere 2020 

Sezione C (poesie singole inedite)

Graziella SidoliSpartiacque – Finalista

 

 

Le tre poesie qui presentate da Graziella Sidoli, pur nella loro diversità formale e linguistica (due sono in italiano, la terza è scritta originariamente in inglese) trovano compattezza a livello tematico nell’approfondire la dinamica vita-morte soffermandosi in particolare su un concetto ricorrente, quello dello spartiacque, ovvero della soglia, nelle sue varie declinazioni.

“Spartiacque” (nel suo significato concreto limite geografico tra bacini idrografici e, figurativamente, elemento di netta separazione) è il titolo della prima poesia che ci rimanda alla divisione tra il prima e il dopo della scomparsa di un amico, in questo caso lo scrittore di origini padovane e studioso di Ezra Pound Piero Sanavio.

Qui il concetto di spartiacque prende corpo al secondo verso nella parola “sentenza”, che segna una netta cesura in un’esistenza condannata dalla malattia. Un confine torna a essere evocato nei versi finali, in particolare dalla consonanza fonica tra il termine geologico ‘faglia’ e la ‘soglia’, dove si trova in attesa la ‘falciata’, neologismo con cui l’autrice personifica la morte portatrice di falce. In questa prima poesia lo spartiacque si dilata temporalmente nel “lungo e ultimo viaggio” e diviene impalpabile ma comunque presente nel suggerito staccarsi delle foglie che hanno lasciato i rami nudi in gennaio.

Il topos letterario delle stagioni torna con l’autunno protagonista della terza poesia, una sorta di preghiera scandita dalla ripetizione anaforica di “Consider me fragile” in cui l’andamento cantilenante dei versi evoca l’oscillazione, il dondolarsi pericoloso ma quieto della foglia.

In questi versi lo spartiacque coincide con una possibilità incombente, l’imminente caduta in risposta al cenno della morte che ricompare anche qui, sempre personificata, vestendo stavolta i panni dell’angelo nero.

Tra il primo componimento in memoria dell’amico scrittore e il terzo, in cui l’io poetico si fa carico del momento di passaggio, indagando su di sé la condizione di precarietà dell’essere umano, la poesia intermedia individua lo spartiacque nel gesto violento del taglio, della rimozione di ciò che definisce l’essere umano in quanto tale. Esposte al taglio, o meglio all’amputazione, sono tre tipologie di intelletto – vegetativo, conoscitivo, del cuore.

L’intelletto definito vegetativo, coincidente con l’aristotelica anima vegetativa, preposta alle funzioni fisiologiche istintive, ha il privilegio dell’assenza di dolore, rimasta dopo la rimozione dell’intelletto conoscitivo (per Aristotele, l’anima intellettiva, fonte del pensiero razionale, che governa la conoscenza e la volontà) mentre l’intelletto del cuore, concetto che si ritrova nelle dottrine esicastiche con riferimento all’atteggiamento dell’orante innanzi a Dio, è depositario della capacità del perdono ma non ha il privilegio dell’oblio del dolore.

Confrontandosi con i temi universali della vita, della malattia e della morte, Graziella propone una sua riflessione sull’umanità di cui coglie la natura fragile ed effimera, mentre il suo sguardo carezzevole, il suo approccio affettivo (in una sorta di conflitto tra l’intelletto del cuore e quelli vegetativo e conoscitivo) smussa le asperità della dimensione asettica e ospedaliera a più riprese evocata.

La sentenza con cui si apre la prima poesia, poi discussa e contraddetta come spesso accade da un avvicendarsi di altre opinioni, viene pronunciata da ‘camici’, metonimia per medici che cancella in essi l’umanità rendendoli semplici latori di una condanna. Che viene tuttavia lenita dalla successiva insistenza sui colori della natura (il blu, lo smeraldo), sui suoi profumi (quello dei tigli che contrasta con la crudezza dell’espressione “osso logoro”) mentre la luce della California addolcisce la perentorietà dell’aggettivo ‘ultimo’ riferito al viaggio.

Anche se la morte è sempre in agguato, si avverte in questi versi una sorta di resistenza, attraverso i riferimenti sopra menzionati e soprattutto l’amore che si percepisce nel saluto al “nobile amico amante dell’avventura della vita” e che sul finire ribalta la cruda fattualità dell’incipit.

La stessa tenerezza torna a palpitare nel terzo componimento dove la fragilità della condizione umana non riguarda unicamente la mortalità ma anche il bisogno di legami, di relazioni, come Graziella non teme di dichiarare espressamente (“voi che non mi avete giudicata degna di tenere attenzioni e di compagnia lungo una vita”).

E nella ripetizione di “consider me” è leggibile una volontà di chiedere attenzione, attirare lo sguardo su di sé, denunciare una mancanza e al tempo stesso cercare un contatto, l’unico che potrà riportare una vittoria sulla morte, superare lo spartiacque, attraverso la memoria, la persistenza degli affetti. (Francesca Del Moro)