Premio Bologna in Lettere 2020 – Nota critica di Giorgio Galli a La lingua della città di Mara Venuto

Premio Bologna in Lettere 2020

Le note critiche agli autori segnalati della Sezione B (Raccolte inedite)

Mara VenutoLa lingua della città

 

 

 

La lingua della città è il canto di dolore della città di Taranto: un dolore fatto di esistenze spezzate, di paesaggi aridi e devastati, di vite di operai cariche di dignitosa amarezza. Un canto di dolore pacato, che attinge musicalmente alla migliore tradizione del Novecento italiano per delineare uno stato d’animo di virile sconfitta e di perenne contatto con la morte. Lontana dal fare una poesia di denuncia, Mara Venuto scrive versi interiorizzati, ma scavando non solo nella propria interiorità, ma in quella dei protagonisti di un’aspra storia collettiva. Perfino la materia, per lei, perfino il paesaggio e gli strumenti di lavoro hanno un proprio nucleo interiore. Come nella narrativa di Steinbeck, l’essere umano, la gatta sporca, i gabbiani e la casa, insomma le bestie e il paesaggio fan parte con gli umani di una medesima vicenda, sono trascinati dal medesimo destino e osservati con lo stesso sguardo concreto, intriso di realismo e di lirismo: “Una rabbia strugge l’anima delle cose, / cola sotto i marciapiedi vuoti, si insinua / fra i vicoli, cade dal bordo di un molo / diluisce il sale”; “Il quartiere ha perso il calco della sua giovinezza”. Altro protagonista è il tempo, il tempo perduto e sprecato di vite fatalisticamente rassegnate. Ma anche il tempo dell’attesa di un evento miracolistico, di segnali e varchi -spesso attinti alla tradizione della cultura popolare- da cui scaturisca un senso a questa vita che “parlava duro e non l’abbiamo capita”. Questa materia è padroneggiata dall’autrice con sensibilità e senso della misura, con un controllo che non esclude potenti squarci verbali. La raccolta si chiude con l’autodenuncia della poetessa che sente l’impotenza della parola -e dunque l’inanità del proprio ruolo- di fronte alla tragedia, ma significativamente la poesia conclusiva, iniziata con un Io, si conclude al Noi, a voler dare l’ultima parola alla dimensione collettiva e plurale del dolore. (Giorgio Galli)