Premio Bologna in Lettere 2021 – I Premi Speciali – Bianca Battilocchi

Marilina Ciaco

Nota di lettura: La fonte di Isadora di Bianca Battilocchi

 

Tra poema allegorico e florilegio di calligrammi, La fonte di Isadora di Bianca Battilocchi dischiude al lettore, alla lettrice, una soglia verso mondi altri, o meglio sarebbe dire una molteplicità di soglie – e, di fatto, di «punti-soglie» parla l’autrice, laddove i «varchi» conducono (fonosimbolicamente) ai «calchi», e l’«astrazione/incendiata» dei simboli prende vita, rinviando a una dimensione dell’esperienza che è ineffabile e sensuale a un tempo (fortissimo, qui, il richiamo alle riflessioni sul simbolo di Jacob Böhme e di Rubina Giorgi). Proviamo, dunque, a procedere per tappe, ché l’idea stessa di flusso, di tragitto, di catabasi (paradossalmente “estatica”) ben si addice alla trama verbale qui intessuta.

Isadora: nome di una delle più celebri danzatrici della storia (Duncan), e non saranno forse casuali i riferimenti a un «canto» che è anche «in-canto», alla danza come riappropriazione tragico-dionisiaca di un contatto con la terra, che si fa «materia linguistica» nel lessico simbolizzante ma anche creaturale, finanche naturalistico, del testo – «un foglio che si fa foglia». Battilocchi, similmente a quanto accade per diversi autori e autrici degli anni più recenti, recupera l’elemento rituale connaturato alla poesia, in questo caso declinandolo, in prima istanza, in chiave mitico-allegorica. La danza di Isadora assume la valenza di un’inesausta «quête» fra mito e storia, che incomincia da quella che parrebbe un’esplorazione onirica per poi snodarsi lungo una serie di tappe via via più immaginifiche, sempre in sospensione fra, da una parte, l’elemento «ctonio», tellurico, incarnato – qui lo Spatola de Le pietre e gli dèi, il Villa dei tarocchi di cui l’autrice è acuta studiosa, e forse anche il Sanguineti laborintico – e, dall’altra, l’elemento «celeste», aereo, quello delle scritture mistiche d’oriente e d’occidente, della formularità liturgica, nonché di certo neo-orfismo nostrano (depauperato degli eccessi più patemici).

A un secondo livello, la ritualità esibita e dialetticamente rinegoziata in queste pagine intercetta le acquisizioni dell’antropologia culturale e filosofica contemporanea, cui si devono significative interpolazioni lessicali: l’«antropologia del dono» (in riferimento a Marcel Mauss), le «policronie» (di Edward T. Hall), la «transcorporalità» (di Stacy Alaimo), fino alla «biosemiosi» (con rinvio alle teorie di Thomas Albert Sebeok).

Non da ultimo, decisiva è la già menzionata componente iconotestuale: i singoli blocchi o momenti in cui il poemetto è suddiviso – non parlerei, personalmente, di «testi» a sé stanti ma di «tasselli», tessere di un mosaico – si presentano come carmina figurata duemilleschi, in forma di alberi, clessidre o linee serpentine. Una parola dipinta, per dirla con Giovanni Pozzi, talvolta giustapposta ad altre immagini che costellano il testo, come la fotografia di Anne Brigman posta in apertura.

L’«ontologia fluida» proposta dal verso esploso, frammentato, di Battilocchi si presta, insomma, a una molteplicità di attraversamenti letterari e interartistici; sarà chi legge a scegliere la traiettoria lungo la quale incamminarsi, potendo fare affidamento su un nucleo consistente di simboli, figure e archetipi collettivi che consentono di decifrare, almeno in parte, l’apparente «oscurità» formale del dettato. L’intensità de La fonte di Isadora sta, per l’appunto, in questo accompagnare il lettore lungo il graduale percorso di disvelamento dell’identità spinoziana fra deus e natura: che si tratti di «animismo ritrovato» o, più materialisticamente, di una rilucente Wunderkammer erotico-onirica, o ancora di un dispiegamento del mistero insito negli ecosistemi e nelle specie viventi – posto che vivere equivalga, in qualche modo, a significare –, quanto ci affascina di quest’avventura testuale è il suo, gioioso e cosciente, desiderio di immanenza. Una danza, un canto (il melos) che si fa figura, lettera (l’opsis) per celebrare la vita.

 

 

Bianca Battilocchi ha studiato Lettere all’Università di Parma e Paris 3 Sorbonne Nouvelle. Ha ottenuto un dottorato di ricerca sui Tarocchi di Emilio Villa presso Trinity College Dublin da cui nel 2020 è stato pubblicato un monografico per Argolibri. La sua raccolta Herbarium Magicum è arrivata finalista al Premio Montano 2020 ed è stata pubblicata quest’anno per Anterem edizioni. A fine estate, con Edizioni Volatili è stata diffusa la plaquette Il ritmo che ritorna