Bologna in Lettere 10th
BĂBÉL
stati di alterazione
GENEALOGIE – LE LINGUE MATRÍE
Progetto sui dialetti italiani
a cura di Anna Maria Curci, Francesca Del Moro
Enrico Meloni
Nato a Roma, si è laureato in Storia Moderna e in Documentazione presso la Facoltà di Lettere dell’università “La Sapienza” di Roma, dove ha conseguito anche il Dottorato di ricerca in Italianistica. Ha lavorato nel settore delle biblioteche e, dopo aver insegnato lettere per diversi anni, attualmente è docente di storia e filosofia nei licei. Ha partecipato ad alcuni convegni come relatore e a numerosi reading poetici. Ha pubblicato racconti, poesie, saggi letterari e storici in antologie, riviste cartacee e sul web. Sono usciti in volume: il romanzo TrePadri (2002), la silloge poetica Arca allo sbando? (2004), il poemetto dialettale Er davenì (2007), il romanzo Quando gli squali mangiano vento (2012), la raccolta di poesie Fratelli mia (2015), il saggio Del nostro caos e della solitudine (2017) sulla memoria letteraria dell’internamento dei militari italiani nei lager nazisti, la nuova edizione di TrePadri (2020).
Fratelli mia
Fratelli mia, se danno le parole
stille d’aria nun ze ponno acchiappà
raspa la gola secca, e ttanto dole
che ste voce se viengheno a asciuttà.
Chi cce misura er bene appetto ar male?
Cqua la canaja cor quacquaracquà
s’ammisticò ar più lliggio scritturale
che commanni, eseguisce e… mmappalà!
S’aribbartò er valore: bbona ggente
perzeguitata pe ll’infamità.
Ma ssi un cantón dell’omo è st’accidente
a ppenzacce fenischi a scapoccià:
momoria sì, ma llibberamo er fele
ner nome de scialomme e dd’amistà.
*
Fratelli miei
Fratelli miei, fuggono le parole
stille d’aria non si possono afferrare
si irrita la gola secca, e tanto dolorosa è la questione
che le voci della memoria finiscono per asciugarsi.
Chi ci dà la misura del bene rispetto al male?
Nel nostro caso la canaglia con il delatore
si confusero al più ligio burocrate
che comandi, esegue e… maledizione!
Si rovesciarono i valori: gente onesta
perseguitata con accuse infamanti.
Ma se un angolo dell’uomo è una simile calamità
a pensarci finisci col perdere la testa:
sì alla memoria ma liberiamoci dell’amarezza
nel nome della pace e dell’amicizia.
*
Indove un zole
(giugno 2009)
Magnafusaje flesciati de sòle
se capano l’inzogni
ne le maje griffatelle
nei friccichi de stelle
framezzo ar gasse
ne li spotte de rettilevisione
gricciori avanti l’arbe
montarozzi de carce
libbidini de nebbie marchettare
li luccicori der chissandovai
indove un zole scalla senza calle
a tutta callara.
*
Dove un sole
Mangialupini abbagliati da inganni,
scelgono i sogni
nelle magliette griffate
nei brividi di stelle
immersi nello smog
negli spot televisivi
brividi che precedono le albe
cumuli di calce
libidini di nebbie marchettare
i luccicori dell’ignoto andare
dove un sole riscalda senza menzogne
al massimo dell’intensità.
*
Se fa na certa
Se fa na certa, fella, nun lassamo
sgattajolà via er tempo ne le storte
che ste vitacce ’nchiodeno smoggose
appennolone ner vero da fiscion.
Appetto a mme ce so ggiornate ciche
mica ppiù oceani deis de fanellezza
che mmai dall’arba nun vedemio notte.
A prescia, dichi, sgrava li cecati
ma er daje a rimannà stira le zzampe.
*
Si fa tardi
Si fa tardi, fratello, non lasciamo
sgattaiolare il tempo nelle vie tortuose
che inchiodano queste vitacce di smog
sospese nella realtà da fiction.
Davanti a me vedo giorni fuggevoli
non più le giornate oceaniche dell’infanzia / quando dall’alba non veniva mai notte.
La gatta frettolosa, dici, genera figli ciechi
ma il continuo rinviare tira le cuoia senza compimento.
*
Canta Fabber
23 ottobre 2016
(Poesia ispirata da una canzone di Fabrizio De André e dedicata a Pier Paolo Pasolini)
Che antro ve serve da ste vite?
Mo’ cche sto celo ar petto l’ha ccorpite
mo’ cche ’r celo a li bbordi l’ha scorpite.
Na storiaccia sbajata canta Fabber
ma un canto addietro
via de leggerezza
ne li trascorzi de Pietralata
sti regazzi c’asciutteno la vita
siccome assorve er vento
le corpe vicennevole de sogni
senza staggione, diacci
ner sol d’agosto o ccotti a la tropea.
Na controvita nun cerca la sarvezza
è na sfida svariata, tignosa
affogata nell’ebbrezza
de un fonno che nun vede la radice.
Che antro ve serve da ste vite?
Mo’ cche ’r celo a li bbordi l’ha scorpite
mo’ cche er sabbione l’ha ariseppellite.
Na storiaccia sbajata canta Fabber
co un fiato de rimorzo
na traccia biforcuta de corpe
che sto novemmre assorve
ne la mollaccia a lo sboccà der Tibber.
*
Canta Faber
Cos’altro vi serve da queste vite?
Ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.
Una storia sbagliata canta Faber
ma un canto indietro
via di leggerezza
nei trascorsi di Pietralata
ragazzi che asciugano la vita
così come assolve il vento
le colpe vicendevoli di sogni
senza stagione, gelidi
nel sole di agosto o riarsi nella bufera.
Una controvita non cerca la salvezza
è una sfida molteplice, ostinata
affogata nell’ebbrezza
di un fondo che non vede la radice.
Cos’altro vi serve da queste vite?
Ora che il cielo ai bordi le ha scolpite
ora che il sabbione le ha riseppellite.
Una storia sbagliata canta Faber
con un alito di rimorso
una traccia biforcuta di colpe
che questo novembre assolve
nel fango alle foci del Tevere.