Bologna in Lettere 10th – Akiko Fuijwara

Bologna in Lettere 10th

 

BĂBÉL  

stati di alterazione

 

 

Focus sulla poesia giapponese contemporanea

a cura di Karine Marcelle Arneodo

 

 

Akiko Fuijwara

Il restauro degli animali

 

 

 

『どうぶつの修復』

 

キュポス〈星〉

 

 

 

三つの身葉は、喪木をたべる天才だった。

 

ダビチ、

ドベテ、

マキアライ。

 

これらは庭の生態系。心臓なしのぼくが知ることのない物語をとっかえひっかえ枝にかける。けして

石を落としてはいけない空洞に囁く、寝息のようなうごきだった。ダストが朝陽に踊るのを

微動だにせずみていると、あの日の記憶もかけられる。これは

裏側から光っているね。この宙の下でなにがかけ

変えられるのかって、言説をなぞったとして、ことごとく相反してしまうこと。翳る日には

方角のない

きみらを、どうしようもなくわかること

 

「ハッフォー?」

 

ぼくには、こころが、わからない。だから、イドの奥、その森の海原へ急降下しても

朝食をいっしょするくらいが精一杯。萌芽の寸前、セイレーン似のよばれびとは

蒸しパンをひとつかみ、ソーセージにマスタードをたっぷり乗っけて、拍子の隙間に

もぐり込む。観念のミックスジュースは

あまくなく、生態系では自給できない養分が

あったとしても、きみにいわせりゃ食えない泪

人道的になるのはルール違反、こしを浮かせて空疎な真理を奥にずらす。小ぶりな

分身がしっぽを振って

けだるく耽美に指揮するうちは、単語のルールもみんな

ちがう。だのに、さ。ゲージュツに

掃除はできますか。とっ散らかるどころじゃなく、もはや

トーチは廃墟を照らす。目くらましの朗読が詩を

平すですよ。哀歌の拡張子はいりますか。おら、こっち向け

ゲージュツに相似はできますか

 

ドベデ、

ダビチ、

マキアライ。

 

きみを生きるのはその部分をも埋めること

みみずもミミズクもおし黙る牧神のとなりで

その身をチャントにして、わたしを押しだしていく

 

(…)

 

肥えるため、かくれてたべる理念がある。耳とじて聞こえないふりする集団は

高みに揺れるリフトにはしゃいで、ほどなくつまみ出されていく。しょっぱい泪の

まずは一杯。しきりをなくしたとしても、常緑の、身葉たちは裏がえるすべをしらず

そこまでがテリトリーで、物語のミカエルだって中流に暮らしたさ。安全地帯は

ここひとつだけ

なんだってそれ、神話?

 

(虫食い、の)

 

奈落に萌えはじめた目の喪木にとまる

三つの祈りのそれを呼ぶ

つづけて

 

ダビテ、

ドベチ、

マキアライ。

 

あなたたちは

体質的によく笑う

いつも、ひとのほうを向いている

 

 

 

「ハッフォー。」

 

(…)

 

異郷である大気圏ののめない空気をストローでかき回すと、ときどきボロンボロンと音がなる。静止しているかにみえて波打っている複数の階調が斜面を平行にしようとするためだ。他方、その音はわたしたちすべてに備わる原罪のかけらである。反射角の違いこそあれ、公に呼吸することをゆるされた身ならば、無声の波動に音符をのせてランニングやサイクリングを行うことが可能である。鍛えあげるのは大洪水の際に水上をわれさきにと滑るため。しかしときどき落下してつん裂くような罵声を発し、円筒状に空気がぬける。銘々の名はそのとき試行されるが、それそのものを善悪では裁けない。いわんや、わたしたちが排他的になるのは交配のハイゲージを思慮するためである。しかしそのたびに、キュポスの皮膚はふくれあがる。膜下に湛えているのは、エメラルド色の涙。

 

(…)

市井のひとがキュポスを蔑視し、小突きはせぬも鞠つきよろしく手をくだす。さらに、神聖にこけるさまに眼を伏せるのだ。それは断罪に価する。胸を吐くのは、はにかんだ笑みをたたえた白髪のキュポスの背にある痕。おのれの翼を捥ぎ、くわえて待っている。ゆびはないので爪もなく、胸壁の分厚い脂肪の奥に坐らせている毛むくじゃら(翼ナシ)を、そっと抱え込むようにして。

 

*

 

Il restauro degli animali

 

 

Kyupos 〈stelle〉

 

 

 

Le tre lamine fogliari sapevano bene come nutrirsi degli alberi del lutto.

 

Dabitchi,

Dobete,

Makiarai.

 

Esse formavano l’ecosistema del giardino. Appendevano ai rami sostituendo le une con le altre le varie storie di cui non saprò mai nulla io che non possiedo un cuore.

Era un moto simile al respiro di un dormiente, a un sussurrare dentro cavità in cui non si devono fare cadere pietre mai. Mentre me ne stavo immobile a guardare la polvere danzare nel sole del mattino, anche la memoria di quel giorno fu appesa. Essa,

vedi, brillava dal suo lato rovescio.  Che nello spazio vuoto sottostante qualcosa mancasse

o potesse essere cambiato, era l’ipotesi di una teoria secondo la quale di fatto tutto è contrastante. Nei giorni nuvolosi

in ogni modo di fatto vi capivo,

voi che non avete direzione

 

 

 

“Cu-cù?”

 

 

 

I sentimenti, per me, sono cose estranee. Perciò, per quanto possa precipitare a grande velocità nel fondo del pozzo, dentro l’oceano della sua foresta, il massimo che posso fare è condividere con te la colazione del mattino. Un attimo prima della germinazione, l’Eletto che assomiglia a una sirena

dà un morso a un pane cotto al vapore, versa abbondante mostarda sulla salsiccia, e poi s’infila negli interstizi del ritmo. Il succo misto dei concetti

dolce non è, e anche se esistessero nutrimenti, che l’ecosistema da sé non produce,

secondo il tuo punto di vista sarebbero lacrime che non si possono mangiare

Mostrarsi umano viene considerato una trasgressione alla regola, e la verità superflua viene fatta scivolare in quel fondo con un leggero spostarsi delle anche nella seduta. Mentre i piccoli alter ego agitano le loro code

per assumere indolenti il comando estetico, persino le regole attinenti al vocabolo

cambiano. Ma nondimeno, secondo te, l’arte

può ancora dare una ripulita? Forse siamo messi anche peggio, poiché ormai

la torcia illumina solo rovine. I giochi di prestigio delle recite rendono la poesia

livellata! Ti serve un’estensione di file per leggere l’elegia? Eh! Guardami,

l’arte può ancora produrre analogia?

 

Dobede,

Dabitchi,

Makiarai.

 

 

Viverti vuole dire seppellire anche queste parti

Vicini a Pan che tace il verme e il gufo

Si ricompongono, per spremermi fuori

 

(…)

 

Per ingrassare, esiste il principio di nutrirsi di nascosto. Coloro che formano il gruppo di chi si tappa le orecchie fingendo di non sentire

schiamazzano dentro l’ascensore che in alto oscilla, ma ben presto vengono sbattuti fuori. Il primo brindisi sono lacrime salate. Vedi, anche se il divisorio è stato soppresso, non c’è modo per le lamine fogliari del sempreverde di rimettersi dritte, e la loro sfera d’influenza non oltrepassa quella frontiera, ma d’altronde, anche il Michele del Libro stava nella classe media. Di zona di sicurezza

una sola c’è ed è questa

Ma di cosa stiamo parlando, di mito?

 

 

 

(mangiatori di – vermi)

 

 

 

Denominare fattualmente queste tre preghiere

appollaiate sugli alberi del lutto degli occhi che hanno cominciato a germogliare nell’inferno

un nome dopo l’altro

 

 

Dabite,

Dobechi,

Makiarai.

 

 

Voi siete

Fisicamente predisposti al gran ridere,

Sempre, nei confronti degli esseri umani

 

(…)

 

 

“Cu-cù.”

 

(…)

 

Quando si mescola con una cannuccia l’aria imbevibile dell’atmosfera aliena, ogni tanto si sentono suoni di corde pinzate. Questo perché le molteplici gradazioni, che sembrano immobili quando registrate, cercano di mettersi in parallelo col pendio. D’altra parte, questi suoni sono le schegge di un peccato originale di cui ognuno di noi è portatore. Quando viene ufficialmente concesso di respirare, anche se ci sono ovviamente variazioni negli angoli di riflessione, si può fare jogging e ciclismo, caricando di note musicali il muto moto ondoso. Così ci si allena, per poter fare a gara a chi scivolerà per prima sulla superficie dell’acqua in caso di grande alluvione. Ma purtroppo a volte si cade emettendo gridi altisonanti di protesta, e l’aria esce fuori in forma cilindrica. Ognuno dei nostri nomi viene allora sperimentato, ma non possono essere giudicati coi criteri del bene e del male. Se, per di più, siamo settari è perché ponderiamo sempre la precisione delle ibridazioni. Ma ogni volta la pelle dei Kyupos si gonfia. Sotto la membrana serbate sono lacrime color smeraldo. 

 

(…)

 

La gente comune disprezza i Kyupos, e se non gli danno direttamente delle piccole spinte comunque li trattano male facendoli rimpallare. Peggio ancora, quando vedono che cadono a terra in un modo sacro abbassano lo sguardo. Questo merita condanna. Lo strappacuore è vedere le cicatrici sulla schiena dei Kyupos brizzolati che sorridono con aria impacciata. Da soli essi si staccano le ali che tengono in bocca in posizione d’attesa. In modo da abbracciare dolcemente i pelosi (i senza ali), che non avendo mani non hanno unghie, messi a sedere in fondo allo spesso strato di grasso della parete toracica.

 

 

*

 

Akiko Fujiwara[1]

 

Nata nel 1974 nell’antica città di Uji nella Provincia di Kyoto è stata laureata del Premio dei Quaderni di Poesia Contemporanea nel 2002. La sua prima raccolta Otozureru koe [Voci che ci rendono visita], pubblicata nel 2005, è stata vincitrice della sedicesima edizione del Premio Rekitei per i nuovi talenti. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta Fo to n [Fo to ne], e nel 2013, la raccolta A naza mimikuri / an other mimicry [Un altro mimetismo] vincitrice della trentunesima edizione del Premio Hanatsubaki per la Poesia Contemporanea. Nel 2019 ha pubblicato la raccolta Dôbutsu no shûfuku [Il restauro degli animali] vincitrice della trentacinquesima edizione (2020) del Premio del Museo dello Tanka, Haiku e Poesia Contemporanea. Nel 2014 ha partecipato al Festival Internazionale degli Scrittori a Seul, e nel 2017 è stata ospite del Festival Internazionale di poesia di Romania.

Le traduzioni qui presentate consistono in brani tratti dal sesto capitolo intitolato “Kyupos (Stelle)” della raccolta Il restauro degli animali. In questo grande affresco Akiko Fujiwara costruisce un mondo immaginario davvero sorprendente traboccante di creature animalesche, vegetali dotati di spirito e figure vagamente umanoidi non pienamente definite. Si narra, con un’alternanza di versi liberi e prosa poetica, del destino di un pianeta in cerca di rigenerazione dopo una catastrofe di cui non viene mai raccontato nulla se non per discrete allusioni. Usando l’“affabulazione mitica” in chiave modernista anglosassone, la narrazione conduce ad una riflessione sulle sorti di un’umanità ormai priva della condizione angelica e perfino dimentica del ricordo del paradiso perduto. L’incapacità empatica verso gli umili e i sofferenti, rappresentati dai Kyupos, esseri fiabeschi venuti dalle profondità della storia per favorire una salvezza rinnegata, si presenta come il male oscuro che intacca alla radice il significato dell’esistenza e compromette irrimediabilmente la funzione emozionale del linguaggio e dell’arte stesso. In una lingua sapiente, spesso mordente ed ironica, la cui inventiva si manifesta in una fantasia sbrigliata che produce parole a volte anche prive di senso, Akiko Fujiwara da vita ad una rappresentazione scettica delle impasse e dell’insensatezza del nostro tempo presente.

 

Traduzione Karine Marcelle Arneodo

Un Ringraziamento a Tomoho Okai per il contatto con Akiko Fuijwara

Revisione del testo italiano: Luciana Rogozinski

Un ringraziamento a Kaharu Inokuchi e Akari Kodera per l’aiuto alla comprensione del testo giapponese

 

[1] Il nome della poetessa viene dato nel consueto ordine occidentale in cui il nome precede il cognome, contrariamente a quanto avvenga in Giappone.