Bologna in Lettere 2019 – Appunti, letture, note – Loredana Magazzeni / Anna Franceschini

Per sua stessa ammissione, Loredana Magazzeni ama la poesia delle piccole cose, la poesia che scaturisce dal quotidiano. Quella, potremmo dire, che racconta la vita, che attribuisce un peso e un valore anche agli aspetti e agli accadimenti apparentemente insignificanti, gettando sempre sulle persone uno sguardo pieno di attenzione e di affetto. Il linguaggio che la poeta utilizza a tal fine è spesso piano, costruito su un lessico semplice e comune che viene esaltato tuttavia dalla padronanza della versificazione, dalla musicalità sapientemente orchestrata. Già dalle poesie che ascolteremo emerge la volontà di Loredana, a dispetto dell’apparente semplicità che lei stessa chiama in causa, di sperimentare con diversi stili, di mettere alla prova una varietà di linguaggi. Varietà che appare evidente dal confronto tra due serie che oggi presenterà: una dedicata alle migrazioni e la serie delle “lallazioni” in cui possiamo individuare i due poli tra i quali oscilla la scrittura di Loredana: una poesia sociale, talvolta definibile come “politica” e che si colloca in continuità con l’attività che svolge da anni in campo culturale, con il gruppo ’98 di donne e come traduttrice – poesia che utilizza spesso un andamento narrativo – e versi più intimi e lirici, che in questo caso privilegiano un ritmo franto, sincopato, riconducibile alla cosiddetta poesia di ricerca. Da quanto detto emerge già come le “cose” a cui Loredana rivolge la sua attenzione non siano poi tanto “piccole”: da un lato la storia, come quella delle migrazioni colte tra presente e passato, e altrove le questioni relative al gender o alle lotte politiche soprattutto in chiave femminista e dall’altro uno scavo del vissuto personale, uno scavo, come si evidenzia in alcune poesie dedicate alla “bambina” che non si arresta di fronte alle contraddizioni, alle debolezze, piuttosto ne fa tesoro spingendosi fino in fondo a indagare l’umana fragilità. (Francesca Del Moro)

 

 

 

Quella di Anna Franceschini è una poesia particolarmente ricercata, la cui complessità non nasce tanto dall’utilizzo di un lessico ricercato ma dalla tecnica della giustapposizione e del correlativo-oggettivo con una frequente soppressione di passaggi logici, che fa pensare al lavoro del montaggio cinematografico. Il paragone con il cinema viene suggerito anche dalle inquadrature insolite con cui è mostrata la realtà, dallo spostarsi frenetico dello sguardo tra l’interiorità e gli spazi esteriori, dai bruschi cambi di prospettiva. Fortissima è la componente visiva, non di rado “visionaria”, con un forte accento posto sugli spazi, sulle architetture, nonché sul carico simbolico che queste portano con sé: una su tutte la casa, su cui insiste a più riprese, ma anche scenari naturali come quelli evocati da un giardino, dagli alberi, dalla sabbia, dal lago, scorci urbani come quello di Venezia, e ancora le strade su cui svettano le gru, e i cortili e i portoni che accolgono giochi bambini. Connaturata all’idea di spazio è quella del percorso, dell’attraversamento: una poesia inizia proprio con un verso di una sola parola: “attraversare” e a questo attraversamento si riconducono i binari, il finestrino del treno, gli spostamenti tra gli spazi della casa. Non mancano momenti surreali, come la scena da incubo del corridoio che non si riesce a percorrere e ancora la giostra con le sfere (o forse teste) appese che sbattono l’una contro l’altra. In questi spazi si muovono figure, si creano situazioni che a volte ci sembra di poter riconoscere e definire (il ricordo dell’infanzia, la malattia in ospedale, i gruppi di auto-aiuto), ma che nondimeno lasciano il sospetto che ci siano ulteriori significati da scovare. È possibile anche isolare alcuni temi: la morte, la solitudine, il vuoto, il tema della madre, che rimangono comunque aperti a una molteplicità di letture. (Francesca Del Moro)