Premio Bologna in Lettere 2024- Note critiche e appunti di lettura – Antonella Pierangeli vs Francesco Deotto

Premio Bologna in Lettere 2024

Sezione C – Poesie singole inedite

 

Francesco Deotto o della visione e riconoscimento “prima del tracollo”

Autospettrografie di Francesco Deotto, ha la forza innovativa di un prosimetro straniante che si pone come il documento inconsapevole di una non facile decifrabilità. Ne deriva una specie di sospensione intermittente dello stile, con versi alternati a chiose di una ipotetica figura onnisciente e l’immissione della nuda verità nella realtà immediata che, carsica per statuto, scava, erode, strato dopo strato, le finzioni dietro cui tende a mascherarsi l’uomo, fino a raggiungere il fantasma di sé, spaventoso incontro con i limiti, le paure e le contraddizioni dell’umano. Se il linguaggio poetico, dunque, non può andare oltre il suo legame diretto con la riproducibilità dei suoi contenuti, le istantanee folgorazioni dei tre incipit delle Autospettrografie, in piano sequenza temporale, affiancate alla voce-coscienza narrante (“Tre cigni bianchi su sfondo nero/Disposti a triangolo”, “Uno spazio pedonale, quasi deserto, /tra palazzi in pietra, vetri, cemento”, “Sulla poltrona, di spalle,/forse un protagonista d’eccezione” ) non sono solo immagine, luce che folgora l’istante e lo sospende, ma sono veri e propri fotogrammi di voce, frammenti di senso tra i quali transita l’intero tracciato della poesia. Un tessuto, però, senza inizio né fine, perché rovescio, ombra, doppio, si intridono all’infinito in riverberi semantici ed eco originarie, eppure inaudite. Adottare una posizione di questo tipo significa quindi evadere dal principio trasformativo della realtà, senza risultato di sorta. Significa, inoltre, annientare la dimensione del tempo e percepirlo nella sola dimensione del reale che, dal profondo della verità del mondo, trova la voce giusta per enunciarsi strumento appercettivo, che consenta di superare  non senza complicanza “una sorta di indecifrabile immagine di sé”. Il punto di osservazione della voce narrante è, dunque, da interpretarsi come lo spostamento formale di una memoria depositata nei luoghi che hanno segnato una partecipazione attiva del soggetto poetico, lasciato traccia di una sagoma destinata ad essere già narrazione per sua natura di unicum, come monade di una sua mappatura simultanea e temporanea, destinata a sovrapporsi alle precedenti e alle future, creando una zona magmatica, dai contorni sfumati, “consapevolezza nel ritrovarsi, di nuovo, piuttosto vicino alla possibilità, forse imminente, di un effettivo tracollo”. La poesia giace proprio in quel tracollo, con estrema confidenza sul fondo del suo elemento che è proprio la visione, e al tempo stesso il riconoscimento, della sua trasformazione in prosa. Una cristallizzazione che si annida nel gesto irrigidito di immagini feticcio: “Al centro, un uomo di mezz’età,/ e di media statura, armato, si direbbe,/ di nient’altro che d’un apparato fotografico”, e ancora “In posa plastica, concentrato e spavaldo,/ in equilibrio alquanto precario”, e proprio questa acquiescenza richiama a un interesse e un’attrazione inizialmente mansueta per la contemporaneità, avvolta però nell’inconsapevolezza che domina un contesto astratto e sospeso,  smascherato dal poeta stesso quale artificio di uno sdoppiamento. La conferma di tale forma distopica è data dal messaggio sublimato in ”una forma d’autoproiezione”, in cui si sgretola “il tutto in una sala come tante, piena di riviste, una fotocopiatrice, il parquet tirato a lucido, una poltrona girevole stile Star Trek”, seppure “il tutto” permanga in un accenno di ambivalenza nel suo essere evasivo.  Si tratta di fotogrammi desolati in cui il ricostruirsi della parola, da segno convenzionale a parola che dice di cose e di casi che prima tacevano, ha il fine di estrapolare la quintessenza del quotidiano, il topos magico della sua ricca presa sul reale e la capacità di fuoriuscire dalle righe della poesia, verso una caustica prosasticità privatissima, chiusa nel paradosso di una vicenda emotiva svincolata da ogni evento, che fa da contraltare alla gradazione di tinte in questo alternarsi di spettrografie. La ricchezza della realtà, il suo defluire attraverso un tempo bergsoniano, non lineare, inducono l’autore a pensarla come in continua trasformazione. Le spettrografie di Deotto possiedono pressoché tutte una scenografia portante. Ci si ritrova in un attimo fra i tanti attimi in cui la realtà si sospende: è quel preciso istante in cui si cristallizza l’esperienza, per effetto di una condensazione di fenomeni simultanei, che trascorrono, accadono e vengono meno, mentre la loro eco permane nella memoria dell’osservatore, in cui scatta l’animus prosastico dal cursus epigrammatico, dovuto interamente “alla stanchezza dell’autore, alla sua consapevolezza nel ritrovarsi, di nuovo, piuttosto vicino alla possibilità, forse imminente, di un effettivo tracollo.”. Il senso di catastrofe imminente è dunque tutto un affastellarsi di ombre e di eventi che hanno lasciato una traccia nell’animo, dove continua un confronto fra sagome di qualcosa che non c’è più, “come in una di quelle immagini nelle quali, senza volerlo, si finisce con l’anticipare ciò che si potrebbe finire per diventare”. In questo modo, Deotto sistematizza l’inclinazione poetica, identificando i due momenti della sua spettrografia: una prima sequenza, volta a cristallizzare situazioni, e una seconda che mira, infine, a conferire memorabilità a un’esperienza vissuta, con la narrazione in forma di chiosa al proprio poeticum. È quindi in questo dittico iniziale che si svolge una dichiarazione d’intenti, “nell’impossibilità di prevedere il minimo dettaglio circa l’altezza in cui potrebbero collocarsi le biforcazioni decisive” e in cui esiste un tempo utile ad appiattire la curva cronologica. Un tempo che domina i luoghi dove convergono le attività del mondo e le innumerevoli esplorazioni della parola poetica dentro l’alterità. Deotto è dunque l’artefice di un racconto in versi mutevole nel suo essere inquieto e attraversato da schegge e inquietudini “per le capacità acrobatiche del protagonista della foto”. La sua è una partecipazione tesa a decrittare la percezione del tempo, una sintesi dedotta dal molteplice e dalla dispersività degli avvenimenti. Unicità e totalità del frammento e dell’intero, insomma; questo il doppio binario su cui Deotto si muove con estrema libertà: un ascolto sottile di ciò che solo dalla voce della consapevolezza si può interpretare. La letteratura, la poesia, tendono infatti a questo: conciliare, nella parola, quel di più di esperienza che sfugge all’attimo del vissuto, ordinare nel linguaggio le numerose, infinite leggi e influssi che raccontano l’umano. (Antonella Pierangeli)