Premio Bologna in Lettere 2024- Note critiche e appunti di lettura – Maria Laura Valente vs Francesco Deotto

Premio Bologna in Lettere 2024

Sezione A – Opere edite

 

Nota critica su Avventure e disavventure di una casa gialla di Francesco Deotto

 

In questi nostri tempi, in cui ogni coordinata, maxime quella spaziale, si iperrelativizza, scivolando nell’ineluttabile evanescenza intersoggettiva e smarrendosi tra gli ignes fatui di una quotidianità sempre più virtualmente percepita e agita, paiono quanto mai necessari, su più fronti concettuali, tanto una (ri)presa di coscienza spaziale quanto un’indagine delle mutate dinamiche d’interconnessione osmotica tra l’umano e i luoghi, prendendo auspicabilmente le mosse proprio dalla metamorfosi ontologica – da sito stanziale a stazione di transito – del concetto di luogo abitativo, nelle sue varie declinazioni d’uso.

A tale compito – che chiama a raccolta le forze del pensiero filosofico, psicologico, antropologico, sociologico, architettonico e, last but non least, letterario – non si sottrae Francesco Deotto, il quale partecipa attivamente alla querelle sulla rinnovata ontologia fenomenologica dell’abitare, con il suo Avventure e disavventure di una casa gialla (L’arcolaio, 2023), primo tempo di una partitura in divenire che, come informa in explicit la Nota dell’autore, «cerca di riflettere sul nostro rapporto coi luoghi che attraversiamo e abitiamo, e che ci abitano e attraversano», percorrendo in ambo i sensi la direttrice bifronte di un rapporto che vede parimenti coinvolti la psiche umana e l’ambiente abitativo.

Nel definire il proprio scenario, Deotto calibra con ponderata attenzione tanto il posizionamento ontologico dei propri (re)agenti quanto il momento di rottura dell’equilibrio abitativo. Il locus prescelto è quello di un’abitazione dai tratti coercitivi sita nel centro di Lisbona: un asilo per alienati, l’Hospital Miguel Bombarda, già Hospital de Rilhafoles, un frenocomio in cui hanno dimorato pro tempore le fragilità psichiche di imprecisate dramatis personae, evocate unicamente in absentia. Tecnicamente, siamo in presenza di un perfetto caso di non-luogo alla Marc Augé, «quello dove le relazioni sociali sono tutte completamente decifrabili attraverso l’osservazione. Ma in questi luoghi non c’è libertà, la residenza è assegnata. […] Si tratta di spazi dove la condizione normale è quella di essere soli». Siamo lontani dall’«abitare lo spazio felice» della Poétique de l’espace di Gaston Bachelard, ma le meccaniche sottese si rivelano parimenti soteriche in termini di presa di coscienza spaziale.

In questo peculiare orizzonte psico-emotivo, la chiusura dell’ospedale psichiatrico – con il suo portato di dismissione d’uso funzionale dell’ambiente abitativo e di concomitante dimissione (sorta di Entwurzelung, lo sradicamento heideggeriano) degli abitanti – rappresenta la crisis, l’etimologica frattura, a seguito della quale i frammenti della precedente integrità relazionale subiscono una dislocazione di posizionamento e una conseguente alterazione direzionale. È questo il momento cruciale indagato da Deotto – la ripresa del transito esistenziale dell’edificio, la riconversione d’uso del luogo – che edifica un’opera, in cui la commistione formale di un dettato che ibrida poesia e prosa incarna l’inscindibilità del sinolo locus e humanum sancito dalla psicodinamica dell’abitare.

Il testo – focalizzato sui destini di un non-luogo ormai dismesso e irrimediabilmente contaminato dai residui psichici che ne hanno irreversibilmente alterato la natura – principia con una prolusione (Inventario sommario dei blocchi maggiori), rimarchevole per impatto visivo e riverbero psico-emotivo, che attesta, in chiave fortemente emblematizzata, lo status quo dell’ex ambiente abitativo. Fa seguito, in rigoroso ordine logico-consequenziale, una triade di ipotesi di riconversioni d’uso (Ipotesi B, P, e H), che contemplano, rispettivamente: una distruzione totale tramite bombardamento, che nullifichi d’un colpo scorie materiche e psichiche (sorta di peterseniano protocollo rabula rasa); la riconversione del sanatorio in locazioni eque e solidali, ove nel tempo a venire sedimenteranno, per via di innesti progressivi, ulteriori commistioni psico-abitative; l’edificazione, infine, post locum deletum, di un nuovo ospedale, la cui variante «propedeutica», ossia premonitrice di un nuovo, futuro «bombardamento», sembra raggiungere l’acme dell’identificazione tra non-luoghi e anime, ormai pienamente consustanzializzati dal ciclico susseguirsi di vediche ri-nascite e ri-morti.

In chiusa d’opera, volutamente in dissolvenza, Deotto rilancia la posta, in liminale sospensione tra i fumi conturbanti di profetiche visioni: «come se fosse possibile un mutamento radicale del mondo e della società, un mutamento tale da metterne in questione le forme di produzione e di consumo, la gestione dei beni comuni, delle istituzioni pubbliche e private, l’apertura a un ripensamento profondo del modo di rapportarsi tra umani, e col pianeta, tra viventi, con le generazioni future e passate, col mondo minerale, e pure con sé stessi…». (Maria Laura Valente)