Secondo la teoria di Elisabeth Kübler-Ross, per elaborare il lutto sono necessarie cinque fasi ben distinte, cinque momenti di trasformazione psicologica che dalla negazione all’accettazione conducono l’essere umano a prendere coscienza del suo limite ultimo. Un percorso difficile ma ineluttabile che tutti, prima o poi, sono costretti a intraprendere.
Un percorso che Camilla Ziglia decide di intraprendere con i versi inediti che ci propone oggi, facendo i conti con il suo vuoto personale. Con una voce limpida, resa essenziale da una riflessione profonda e intima, la sua poetica affronta il tema del lutto trasformando il dolore in una forma di bellezza sintetica, che offre lucidità e riflessione. Senza nascondersi allo sguardo del lettore, la poetessa sceglie di mettersi a nudo nei contesti a lei più vicini, mantenendo però un distacco ragionato rispetto alla potenza inarrestabile delle emozioni. I sentimenti appaiono così sublimati, trascritti a un livello elementare, dunque accessibile a tutti.
Un esempio emblematico di questa resa elementare è la definizione del confine invisibile fra l’essere e il non essere, tracciata all’interno degli spazi della vita quotidiana. In una geografia di mobili e di stanze all’apparenza comune, gli oggetti diventano il transfer psicologico delle emozioni, veri e propri elementi-narranti del vissuto. Una poltrona vuota, una tavola dove si cena spaiati, una porta chiusa ai non addetti ai lavori. La poesia va a scovare le mancanze e le osserva con profonda introspezione, interrogandosi sul valore di quello che rimane sospeso e di quello che non tornerà più. Elementi questi che aiutano a contestualizzare il dolore della perdita personale in una dimensione più ampia e universale. Proseguendo lungo la galleria d’immagini sospese e di scene interrotte, il lettore acquisisce dunque l’impressione di non essere un semplice spettatore, ma parte attiva del processo. Le domande retoriche provocano dubbi reali, le pause di riflessione impongono attese anche nella lettura.
È una poesia terapeutica che guida il lettore nelle cinque fasi di Kübler-Ross senza risparmiarsi anche i momenti più tesi. Partendo dalla negazione – “e tu che ti affanni per un guado / azzardi congiunzioni sempre / diverse, sempre / sbagliate”. Giungendo alla rabbia – “Raffiche di tagli / ai bocconi che gonfiano.” Poi alla contrattazione – “Avrà qualcosa se mi siedo / e cerco la tua forma — immobile — / se guardo il soggiorno dalla tua prospettiva”. Fino alla depressione – “Se stanotte piango e prego / con due dita bagnate, ho cercato / senza sbocchi la distrazione”. E infine l’accettazione – “partorire il proprio ritmo / replicare ancora il tuo”.
Un altro elemento chiave della poetica di Ziglia e che troviamo anche nei testi della sua silloge Rivelazioni d’acqua è la sua attenzione irrinunciabile ai particolari.
L’io poetico è un fotografo attentissimo, capace di cristallizzare con i versi immagini di una nitidezza esemplare. Analogamente a quello che troviamo nelle poesie del lutto, dove lo stile è un equilibrio elaborato di leggerezza e precisione, frutto di una ricerca paziente per l’aggettivo esatto. Questa precisione nel ricostruire visioni pittoriche testimonia la cura con cui la Ziglia vuole sperimentare il suo vissuto con occhi ben aperti, riconoscendo il valore dell’esperienza nonostante l’intensità delle emozioni subite.
(Nerio Vespertin)
Composti ognuno alle proprie ginocchia lisciano il manto dei giorni, fino all’estremità della coda. Immobili: — Dormono? — si amano accanto. Cade una mano, sfiora le dita: come i primi incontri e i divieti, quei loro segreti.
Ora che non ci sei
avrà qualcosa da restituire
la tua poltrona? da farsi
perdonare, come tutte le cose
che cedono a chi le impugna
senza perdere un grammo?
Avrà qualcosa se mi siedo
e cerco la tua forma — immobile —
se guardo il soggiorno dalla tua prospettiva
e non implode, non cambia nulla?
§
Nel braccio di ferro per chi sostiene il passo si alzano, barcollano. Arrivano a tavola stretti, si stringono a noi. Catalogano fatti, registrano le vite, forse per quello, non tanto per mangiare.
Ora che il vuoto trabocca e ricade
in un alone tondo, nessuno
occupa il tuo posto
e così ceniamo spaiati, occhi
nel piatto in rotazione sui bordi.
Raffiche di tagli
ai bocconi che gonfiano.
(Camilla Ziglia, testi inediti)
Camilla Ziglia è nata e vive a Brescia. Per la diffusione della poesia ha condotto una rassegna di presentazioni, ha preso parte a lavori di giuria di premi per adulti e scolastici. Collabora occasionalmente con una casa editrice come editor ed è componente della redazione dell’Enciclopedia dannunziana online (progetto ministeriale e del Vittoriale). Ha condotto un laboratorio di aggiornamento su Poesia e conoscenza del sé per il personale docente (UST Brescia). Sue letture hanno accompagnato il vernissage della mostra fotografica di Roberto Damiani Lo spessore dell’acqua (esposto al Museo Ken Damy di Brescia e a San Lorenzo di Gussago); ha esposto i propri testi nella mostra fotopoetica curata dal fotografo e studioso Giuseppe Mongiello presso e con il patrocinio dell’Accademia degli studi salodiani. Suoi inediti hanno ricevuto riconoscimenti in concorsi letterari e compaiono in diverse antologie ad essi legate; la raccolta poetica Rivelazioni d’acqua (puntoacapo Editrice, 2021) è stata più volte premiata e recensita. Sue pagine critiche e recensioni sono consultabili in rivista scientifica Letteratura e dialetti di Fabrizio Serra Editore, in siti e blog come Di sesta e di settima grandezza e LaboratoriPoesia dei quali è redattrice, in Voci dell’Enciclopedia dannunziana.
