Nota di lettura di Nerio Vespertin su Leila Falà

La poesia, nella sua forma più antica e universale, appare fondamentalmente come una poetica del Tempo. Il problema di definire l’esperienza umana in forma esatta ed essenziale è la forza che muove quel senso d’ineffabile tipico dell’espressione poetica e che resta come sospeso, grazie all’artificio delle figure retoriche.
Ma che genere di connotazione è possibile dare a un concetto così elusivo come quello del tempo? Soprattutto dopo che la sua natura soggettiva è stata rivelata persino in ambito fisico (vedasi la teoria della relatività di Einstein)?
In risposta a queste domande, il senso della poetica che Leila Falà porta alla nostra attenzione con la sua ultima silloge, Rumore di fondo (Puntoacapo, 2023) e con i suoi inediti, è quello della riscoperta del tempo nella sua dimensione più immediata, in un contesto vita frenetico e claustrofobico. Uno spazio raccolto e misurato dove gli eventi vengono osservati con distacco, ma non con freddezza.
Una poetica del tempo e che calcola sul tempo il proprio ritmo. Sia indagando il valore della memoria storica, sia valutando a ribasso la velocità con cui le nostre esistenze vengono condotte all’ombra delle città. L’io poetico è così circoscritto nel perimetro di componimenti fuggevoli, capaci di fermare in un singolo scorcio l’interezza di anni e anni di vite monotone e irrequiete. L’unità di misura delle poesie della Falà è quasi sempre la stessa: la solitudine dell’individuo contemporaneo, ora costretto in contesti sociali degradati, ora nel deserto cibernetico dei social network.
In questa indagine esistenziale, il linguaggio scelto non può che dare voce al quotidiano, a quel pantheon di piccoli e grandi oggetti-simbolo del comfort che però nascondono una profonda inquietudine. I versi propongono spesso un registro colloquiale, come se ogni poesia fosse un dialogo aperto verso il lettore. E proprio a lui o lei che l’intensità del messaggio poetico viene presentato, ma senza forzare l’interpretazione: chi legge osserva la propria vita descritta con pochi brevi passaggi, ma il senso critico da assumere resta tutto a noi. 
La teoria della relatività della Falà è un gioco di prospettive, un cercare un punto comune fra noi e i nostri vicini. Lo sguardo appoggiato sulle vite degli altri è il nostro e contemporaneamente ci è estraneo. Nella cornice dei versi ci si rispecchia, ma senza aderirvi completamente.
Come nella serie di poesie inedite che si focalizzano sull’oggetto-simbolo dello specchio. Anche in questo caso l’io poetico è al contempo l’uno e il suo negato, essenza e immagine distorta. La poetessa si guarda a distanza, interpretando coi versi il senso del tempo sulla sua propria persona, al contempo oggetto e soggetto della percezione.
(Nerio Vespertin)

Manca

Permane al fondo di ogni cosa
non detta. Appare. Scompare.
Manca. Come fondo di caffè.
Che sia una parte di te?

In una tazza. Lavata. C’era e non c’è
ciò che possa avvolgerti e salvarti.
Manchi tu a te stessa, mentre
manca lo sguardo dell’altro
senza giudizio.

Manca la forza? Il desiderio? Manca
lo stare in sé fino nel profondo.

Nella tazza vuota, anche.

Mancava sempre, anche quando c’era.

Ora si sottrae allo sguardo
sorride e chiude la porta
ti porta altrove, forse anche
a un aperitivo dove lei non c’è.

Tu, neanche.

§

Presente storico

Ormai che tutto sembra sfilacciarsi
consumarsi nell’attimo stesso in cui avviene
o proprio lì a ridosso solo cinguettando
e ogni nefandezza si squaglia in un talk show
ora che persino la storia sembra avere un peso diverso
– sarebbe ingrato dare ai posteri il compito di ricucire
questo puzzle infinito, sfuggente e infinito.

Ora ci accontentiamo di molto meno
facciamo con ciò che abbiamo.
Ed ecco dunque, ai post l’ardua sentenza.

(Leila Falà, da Rumore di fondo, puntoacapo Editrice, 2023)

Leila Falà Magnini, attrice e poeta, è nata ad Ancona e vive a Bologna dove ha lavorato all’Università. Si è formata nell’humus culturale e politico di fine anni 70 a Bologna, studiando al Dams con G. Scabia, M. De Marinis e alla scuola di Teatro Galante Garrone. E’ tra le fondatrici del CDD -Centro Documentazione Donne di Bologna, è stata redattrice dal 1980 all’’87 con Radio Città del Capo di Bologna e negli anni 2000, attrice con Il Gruppo Libero Teatro dal 2000 al 2009 e in altre esperienze, come poeta ha fatto parte del “Gruppo 98 poesia”. E’ stata per diversi anni nella redazione della rivista di poesia “Voci della Luna” e fa parte della SIL – Società Italiana delle Letterate. Cura piccoli eventi poetici. Ha iniziato a scrivere poesia in maturità e ha pubblicato le raccolte: Rumore di fondo (puntoacapo, 2023), Certe sere altri pretesti (e-book con Il sito la Recherche, 2016), Mobili e altre minuzie (Dars, 2015), Oggetti (Corraini, 2013). Altre sillogi: Azioni e ricette silloge in Prontuario lirico per la difesa muliebre, antologia con altre tre poete: A. Carnaroli, A. Toscano, F. Genti (Sartoria Utopia, 2022); una silloge nell’antologia Connessioni (Van, 2022) e in Della Propria voce (Qudulibri, 2016) antologia del Gruppo 98 Poesia, di cui è anche curatrice. Ha scritto anche per il teatro. La ballata sul precariato Cosa farò da grande (inedito) ha vinto il premio teatrale “Reading sul fiume” Bologna 2017. E’ presente in riviste, siti web e antologie.

Leila Falà