Premio Bologna in Lettere 2023 – Lorenzo Mari – Nota critica di Daniele Barbieri

Premio Bologna in Lettere 2023

Sezione A (Opere Edite)

Nota su Lorenzo Mari Soggetti a cancellazione

Arcipelagoitaca Edizioni

 

 

 

Nella nostra concezione intuitiva delle cose, contrapponiamo tradizionalmente il mondo ai testi: il mondo è la realtà in cui viviamo; i testi sono strumenti attraverso i quali ci scambiamo informazioni su tale realtà. I testi parlano del mondo. E magari parlano anche di mondi alternativi, di mondi possibili e non reali. Ma, appunto, sono mondi in cui non viviamo. Al massimo immaginiamo di viverci; e anche attraverso questo immaginarci possiamo imparare qualcosa sulla realtà che di fatto viviamo.

Poi, da qualche anno, si parla di realtà virtuale. Un ossimoro. Tantopiù che, in quanto prodotta, la realtà virtuale è parente più dei testi che del mondo. Ci immergiamo nella realtà virtuale più o meno come ci immergiamo in un libro o in un film. Solo, poiché essa ci fornisce una parziale possibilità di interazione, l’effetto immersivo è più forte che con un libro o con un film. Ogni patito di videogiochi lo sa.

Eppure, una città è mondo oppure è testo? Poiché la viviamo è certamente mondo, ma è anche interamente costruita dall’uomo, a scopo pratico ma anche (e moltissimo) a scopo comunicativo. Di fronte al caso della città, la frontiera che tradizionalmente poniamo tra mondo e testo vacilla, si fa porosa, inconsistente. La città è reale e testuale insieme.

E un videogioco, mica lo facciamo solo mentalmente! Muoviamo gli occhi, le mani, a volte le gambe e l’intero corpo. Il videogioco è reale e testuale insieme.

E adesso ci possiamo accorgere che pure il libro (il testo per antonomasia) richiede un’interazione reale (per quanto limitata a una piccola tipologia di gesti), e che noi viviamo una realtà costruita di libri non meno che di case o di montagne. Certo, siamo abituati a pensare al libro come a qualcosa che parla del mondo, e possiamo fare astrazione – in questo – dalla piccola interazione reale che esso richiede. Facciamo talmente astrazione che quando un libro rimanda alla consultazione di un altro libro possiamo astrarci persino dal già più complicato gesto del trovare e consultare il secondo libro, cosa che richiede comunque una più concreta risalita nel reale. Il vantaggio del Web sarà che basta un clic, e la realtà virtuale è tutta lì, tutta reale e tutta testuale insieme, allo stesso tempo, senza necessità di uscita.

Adesso immaginate essere davanti a un libro che richieda una ricorrente interazione con il mondo attorno, sia quello virtuale (dei QR-code, per esempio) che quello reale (altri libri, mondo, storia). Questo libro sarà, certo, inevitabilmente un testo, ma al tempo stesso rafforzerà la propria dimensione di realtà, ponendosi come una sorta di hub semiotico. Potrà contenere testi veri, più o meno tradizionali, o testi finti (o forse finti – l’incertezza è a sua volta parte del gioco del reale), vere uscite verso il mondo (via Web) e pure uscite false, illusorie, o anche palesemente false, giochi sulla negazione dell’uscita, false porte sul mondo.

Un monte di cocci semantici, ma anche reali. Forse quanto di più vicino si possa immaginare all’impossibile litteralité di Jean-Marie Gleize, dove le parole si sono fatte cose, e vivono nel mondo, o fingono di vivere nel mondo. Ma il prezzo della possibilità della litteralité è che tutto sia già intrinsecamente testo, che il mondo già lo sia in sé. E allora l’operazione dell’artista sarebbe solo quella di ritagliare, di scegliere cosa è pertinente, cosa entra nel discorso che si sta facendo adesso – un po’ come quando il fotografo inquadra un pezzo di realtà e, almeno visivamente, la riproduce, ma lascia fuori tutto il resto.

Gli archeologi scavano nel monte dei cocci alla ricerca di indizi di epoche lontane. Della nostra epoca nel libro di Lorenzo Mari gli indizi sono tantissimi, verbali come visivi e anche sonori. Il poeta – perché comunque di poesia si tratta – sceglie soggettivamente gli elementi della sua straniata oggettività (oggettualità). Naturalmente non mancano gli oggetti autoriflessivi (in fin dei conti sempre di un testo si tratta, nonostante tutto): se “la lotta con i pronomi contro i pronomi / non basta      non può bastare” è perché la poesia (qui come altrove) non è solo ciò che si legge, ma anche quello che si vede sulla pagina, quello cui essa si lega nel mondo. La nostra lingua non può fare a meno di pronomi, ma la parola non è tutto, e uscire dalla lingua (o almeno procedere nella direzione di una uscita) è uno dei modi per cancellare i pronomi, primi tra tutti quelli che esprimono il soggetto. Cancellare il soggetto è però cancellare il punto di vista, la prospettiva, è creare una visione cubista del mondo, mondo a sua volta. Lo si può fare e insieme non lo si fa. Soggetti a cancellazione abita questo impossibile aleph. Per questo produce vertigine. (Daniele Barbieri)

 

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