Premio Bologna in Lettere 2020 – I premi speciali – Vanna Carlucci

Premio Bologna in Lettere 2020
I premi speciali del presidente delle giurie

Vanna Carlucci

 

“Si scrive per fare di questa vita / una corsa luminosa. … si vive per fare di questa pagina / una voce”: in questi versi di Vanna Carlucci risiede una forte dichiarazione di poetica che sancisce un intreccio dialettico tra l’arte (nel suo caso la scrittura) e la vita. Esse appaiono non solo come la reciproca ragione fondante, ma si generano a vicenda: è la parola a mettere in moto la vita (ovvero, a dare l’attacco per correre al cervo con cui altrove è identificato il tempo) e a sua volta la vita fa nascere la scrittura, dando alla pagina una voce.

Qui si profilano inoltre due dicotomie essenziali nella produzione dell’autrice: da un lato la luce e il buio, dall’altro il silenzio e il suo opposto, sia esso suono, grido, voce, parola pronunciata o scritta. La ricorrente contrapposizione tra luce e oscurità occupa peraltro un posto di rilievo nel suo manifesto, che chiama i poeti ad ardere come “piccole fiammelle nel buio”.

Nello stesso scritto, consultabile online, l’autrice parla di voci perennemente in esilio, in uno spazio fuori dal tempo. E in effetti ogni coordinata spazio-temporale viene meno nei suoi versi, che si disancorano da qualsiasi realtà concreta, riconoscibile, localizzabile, salvo alcune scarne ambientazioni come la camera da letto avvolta nell’oscurità in cui sono possibili incontri intimi e un più stretto contatto con il proprio inconscio.

Nella poesia di Vanna Carlucci, l’io è un linguaggio-corpo (come scrive Tiziana Cera Rosco nella prefazione alla sua opera prima) assillato da una costante aspirazione a rigenerarsi, aprendosi e fondendosi con ciò che è altro da sé. Sempre Cera Rosco propone la definizione di “libro di gestazione”: gestazione culminante in un parto che, come qualsiasi altro in senso concreto, avviene con modalità violente: qui di volta in volta come squarcio, ferita, come uno spalancarsi o disgregarsi del corpo (Cera Rosco parla di disordine fisiologico), o come un cadere, un precipitare. Nella sua nota ad alcuni inediti dell’autrice, Mario Famularo sottolinea il dinamismo che caratterizza questa poesia. C’è infatti un’insistenza sulla corsa (“le gambe sono diventate lance al galoppo”) e si privilegiano voci verbali sotto il segno dell’azione, dell’energia (tagliare, divaricare, scavare, divellere). Il sangue scorre copioso (in particolare, nei versi “che il rosso ceda sulla pagina e in questo spargimento / di sangue nelle dita” si profila un’identità tra la scrittura e il corpo, come se il rosso dell’inchiostro e del sangue coincidessero). “La vita ci costringe a battere i pugni, sfondare muri, spezzare silenzi” scrive del resto l’autrice nel già citato manifesto. E se la sua poesia è una poesia di gestazione, più focalizzata a mio parere sul momento traumatico del parto del linguaggio-corpo, è inevitabile che sia testimone di uno sforzo continuo, che esprima una tensione generativa.

Scrive Rilke nelle Lettere a un giovane poeta: “Tutto è portare a termine e poi generare. Lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe d’un sentimento dentro di sé, nel buio, nell’indicibile, nell’inconscio irraggiungibile alla propria ragione, e attendere con profonda umiltà e pazienza l’ora del parto d’una nuova chiarezza: questo solo si chiama vivere da artista: nel comprendere come nel creare”. Parole che si adattano perfettamente al lavoro di Vanna Carlucci. “Creatura” è peraltro la parola scelta come chiusa di un componimento, come se si trattasse di una conclusione, un risultato, un compimento: la nascita che è appunto creazione. La creatura è termine e fine dello sforzo, di tutto ciò che accade nei versi che la precedono.

Il volume Involucri (LietoColle 2016) vede come protagonista un corpo che potrebbe essere inteso in astratto come essere vivente – creatura, appunto – data la molteplicità di riferimenti al regno vegetale e animale: il primo, nel suo scandire il tempo e le stagioni, emblema del dualismo tra radicamento e dispersione (radici, tronco, foglie); il secondo, come richiamo al nostro lato selvatico, alla naturale bestialità del nascere e artigliarsi (con le parole, peraltro, qui) alla vita.

Per avvenire, ogni nascita richiede il superamento di un varco, lo sfondamento di un involucro, che coincide con “la pelle morta che cade / della risurrezione del corpo”, e in ultima analisi con lo stesso corpo fisico.

“Un buio in scomposizione / prova a mettersi a fuoco / prima di una reale venuta al mondo” scrive Carlucci in un suo testo inedito, e nel libro appare sempre più chiaro come la “venuta” coincida con la “veduta”. Un’identificazione, questa, già proposta in uno degli articoli firmati dall’autrice che, oltre a scrivere poesia, è fotografa e critica cinematografica.

È lo sguardo, quello che in una poesia diventa “l’occhio del ventre”, che rende possibile lo sfondamento dell’involucro. “Il corpo si è aperto / nel terremoto degli occhi” si legge altrove mentre i versi “Incurvarsi del giorno / alla curva dell’occhio esposta / al taglio della luce che si dilata” non possono non far pensare all’occhio tagliato di Un chien andalou, il film di Buñuel e Dalí, alle cui visioni potremmo apparentare questa scrittura visionaria e surreale. E se la “visione si scontra sempre con l’ineluttabile volume dei corpi umani”, come scrive Didi-Huberman, allora la nascita coincide con la possibilità del corpo stesso di aprirsi, spalancarsi, squarciarsi fino a separarsi letteralmente da sé stesso: “il corpo ha detto vado via / da questo corpo ed ecco gli scheletri / delle mie morti precedenti”.

L’autrice è consapevole del fatto che “C’è qualcosa oltre la pelle, / dentro gli organi viventi, / il sangue e le ossa” ed è il corpo il varco da superare nel perseguimento non solo di una (ri)nascita, ma anche di una fusione con ciò che è altro da sé. Una fusione che tradisce un anelito all’assoluto, assumendo di volta in volta toni erotici (“pendevi sulla mia lingua calda un bacio”; “mi riempivi colandomi addosso resine fin sottopelle”; “ti ho lasciato tra le gambe il mio passo parallelo”), o mistici (“lingue mute del verso”; “un dio tornato pieno di parole”; “mistica della terra”; “palmi divaricati e stigmate piene”), o addirittura si presenta come fusione con un corpo-cosmo. Ne sono spia i versi: “dialoghi, fiati del cosmo”; “riempire tasche dell’attrito dei mondi”; “in utero prima di ricevere il mondo”; “un universo addosso”. È come se la creatura potesse, attraverso una lotta con l’interno e l’intorno, fondersi e infine coincidere con il tutto, a volte paradossalmente tornando al ventre materno: “l’inizio del mondo, il caldo / universo del tuo grembo”.

La poesia di Vanna Carlucci è una poesia visionaria, evocatrice di scenari onirici e surreali, enigmatica e dinamica, che attinge ampiamente al lessico e allo stile fotografici e cinematografici a lei ben noti. Come scrive nel suo manifesto, è “una bestia che vive nel mio sterno, alla fine morde, e un verso si dipana, è un’eterna ferita che si apre, la parola è artiglio che sacrifica e scarnifica, selvatico che scava dentro e, decentrandoci, ci rende voci perennemente in esilio”. Da tutto questo scaturiscono versi ben cesellati, e ciononostante attraversati da tensione ed energia, che rivelano grande padronanza della parola, omogeneità stilistica e tematica e pulizia formale. Il suo libro di esordio è senz’altro un progetto estremamente curato, già maturo e ambizioso. (Francesca Del Moro)

 

 

 

Vanna Carlucci, ha pubblicato alcuni componimenti poetici su quotidiani e riviste nazionali; alcuni componimenti  sono stati tradotti in diverse lingue straniere. Involucri (Lieto Cole ediz., 2017) è la sua prima silloge poetica. Collabora come critico cinematografico per alcune riviste di cinema nazionali. Come visual-artist ha approfondito il campo del linguaggio fotografico partecipando ad alcune mostre collettive e personali di fotografia; come archivista ha recentemente lavorato all’interno di una residenza d’artista per il recupero del patrimonio fotografico di famiglia ed è co-fondatrice di RaYo – Research About Your Origins. Ha collaborato come assistente di scrittura al film di Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo, “Gli ultimi giorni dell’umanità”.