Premio Bologna in Lettere 2020 – I premi speciali – Alice Diacono

Premio Bologna in Lettere 2020
I premi speciali del presidente di giuria

Alice Diacono

I punti di forza del libro di Alice Diacono, Veniamo dal basso come un pugno sotto il mento, sono senz’altro la forza e l’energia, oltre che la freschezza, con cui dice le cose. Ogni persona giovane che abbia un certo talento si comporta giustamente come se non avesse niente alle spalle: non una tradizione, non dei padri letterari, a volte nemmeno una sintassi a cui fare riferimento; si muove generalmente nel terreno dell’esperienza come se il mondo fosse tutto nuovo, e non c’è dubbio che lo sia, per fortuna lo è sempre. Ecco perché mentre leggevo il libro di Alice mi è venuta in mente la lunga e gloriosa tradizione del Bildungroman, nato per raccontare l’ingresso nella vita di giovani di belle speranze che si trasferivano dalla provincia nelle grandi città europee per conquistarsi un futuro all’altezza delle proprie speranze. E’ quello che fa anche la nostra Alice, essendo dotata peraltro di un nome all’altezza delle sue future avventure: chiede una borsa di studio e si trasferisce da Asti a Bologna per guadagnarsi un futuro migliore di quello che la sua storia familiare le destinerebbe. Come per ogni eroina contemporanea che si rispetti, la scoperta della città è insieme elettrizzante e terrificante; la precarietà porta con sé la possibilità di una solidarietà tra gli individui, e nei momenti migliori Alice scopre che il fare comunità e il costruire una tenerezza tra le persone sono quanto di meglio la città possa offrire. Alice, come ogni avventuriera del sé, ogni volta che incontra un possibile pericolo testa i suoi limiti, eppure sembra che non abbia paura, o almeno, non ha paura delle cose di cui si presume debba averne: non teme i tossici né gli spacciatori, ma registra con terrore l’esistenza di uomini capaci di fare del male senza nessuna vera ragione. Bologna ha una tradizione underground lunga e gloriosa: la Nostra la attraversa e la assorbe con entusiasmo, stilando con passione elenchi lunghi, dettagliati e presumibilmente menzogneri delle esperienze fatte. Perché gli elenchi le piacciono così tanto? Forse perché pensa che tengano lontano lo spettro di una vita inutile in cui non abbiamo visto e fatto abbastanza. A prescindere dalla giovane età, lo spettro della morte è sempre presente, anche se la narrazione non depone mai l’arma dell’ironia, per quanto carica di tenerezza e partecipazione. Il registro è comico, come insegnava Celati e come indica il titolo, preso direttamente dal bagno della Facoltà di Lettere; la morte è sempre dietro l’angolo, come insegna la fine di un amico/maestro come Massimiliano Chiamenti, insieme al rischio di perdersi, di buttarsi via, di sprecarsi, ma essendo ventenni lo spreco è solo una componente del gioco, insieme al piacere di scoprire cose nuove e inediti compagni di viaggio. Nel racconto intitolato Giù dal ponte di Stalingrado, per esempio, Alice e la sua amica Francesca trascorrono una serata abbastanza normale tra alcol, concerti e gente appena conosciuta che vuole trascinarle chissà dove. La sensazione di chi legge è che abbiano scampato un pericolo, ma un pericolo non grave, e comunque appena sfiorato. Prima di andare a dormire si raccontano delle cose. Si raccontano la prima volta che hanno provato quella sensazione, ma di quale sensazione si tratta? Alice non lo racconta, scrive solo: «La prima volta che io l’ho provata avevo nove anni. Tutti i pomeriggi li passavo scendendo con i pattini a rotelle, giù da una discesa di asfalto. Al fondo di questa discesa c’erano le porte dei garage con delle finestrelle di vetro. Di solito frenavo sempre nel pezzetto di muro tra un garage e un altro, ma quel giorno mi dissi “e se frenassi contro il vetro?”. Ne porto ancora le cicatrici sulle braccia». Il racconto finisce così, con la certezza che entrare nella vita sia una decisione estremamente rischiosa, tanto rischiosa che bisogna addomesticare il rischio più che si può. Tanto rischiosa che alcuni muoiono nel tentativo di farlo, mentre altri si fanno paralizzare dal terrore della precarietà, della solitudine e del fallimento: Alice nel parlarne cita Bifo e Mark Fisher, additando nella “mente corporea” non una soluzione, ma una possibilità di salute che dal singolo può passare al collettivo tenendo viva la speranza di farcela insieme (Marilena Renda)

 

 

 

Alice Diacono è nata ad Asti nel 1987. E’ autrice di poesie, prose, articoli e saggi. Si è laureata in Lettere all’Università di Bologna, dove ha creato la fanzine Idioteca da cui sono nate innumerevoli collaborazioni, eventi, idee ed esperimenti. Nel 2017 ha raccolto le sue poesie nel libretto Il tempo di un bidé che ha letto in librerie e festival, tra cui The Wrong – New Digital Art Biennale, Modo Infoshop, Zuma, Neon Festival e Olè Festival. Ha scritto e collaborato con numerosi blog, riviste e realtà editoriali come Vice, Doppiozero, Il Fatto Quotidiano, L’IndiependenteNeutopia, In fuga dalla bocciofila. Nel 2019 ha frequentato la scuola di scrittura Bottega Finzioni di Bologna, ha pubblicato il saggio Santa Libera: storia di un’insurrezione armata con l’A.N.P.P.I.A e la Casa della Resistenza di Torino, e la raccolta di testi illustrata dal titolo Veniamo dal basso come un pugno sotto il mento (Battaglia Edizioni, 2019). Il suo lavoro ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. La sua poetica si definisce hardcore-zen e non morirà mai. Perché è già morta.