Premio Bologna in Lettere 2020 – I premi speciali – Michela Gorini

Premio Bologna in Lettere 2020

I premi speciali del presidente delle giurie

 

Michela Gorini

 

 

 

 

 

 

Enzo  Campi

 

 

Là où fut ça, il me faut advenir

 (Desiderio, Alterità e Ingabbiamenti nelle formule goriniane)

 

 

La poetica goriniana è letteralmente pervasa da un’alterità di fondo, resistente e persistente, che naviga, si potrebbe dire, all’interno di un gorgo che si estende dal profondo alla superficie o, come diremo più avanti: tra il nucleo focale (nocciolo) e l’armatura (scorza). La figura del gorgo, metafora o simbolo che sia, indica una certa mobilità. Del resto c’è poesia solo se al suo interno qualcosa si muove.

Ciò lascia supporre la presenza, anche invasiva, di un incontro/scontro, a più livelli, sia strettamente fisici che per così dire metafisici, tra il soggetto e l’oggetto, tra una serie di soggetti e una serie di oggetti, tra il discorso (del resto sono sempre la lingua e il linguaggio gli elementi sottoposti al nostro trattamento) di una serie di soggetti e il discorso di una serie di oggetti. I due discorsi (beninteso non sono questi gli unici discorsi al lavoro nell’opera), volutamente confusi tra loro, pervengono allo status della fusione solo dopo essere passati attraverso un processo di riduzione, ovvero appropriandosi ognuno delle rimozioni dell’altro. Si tratta, in buona sostanza, di un doppio furto in cui ognuno dei due cerca di depotenziare l’altro, forse per creare un nuovo paradigma o, magari e più semplicemente, per raddoppiare il piano su cui stratificare le loro stesse divaricazioni verso una cosa o verso un qualcosa di cui non conoscono ancora né forma, né sostanza.

Allo stesso modo, talvolta con diverse soluzioni e intensità ma con lo stesso fine, l’io e l’altro risultano al contempo fusi e divisi.

In quest’opera, la tua formula invertita femmina (Kolibris Edizioni, 2020), abbiamo due diverse tipologie di testi (che andremo a definire più avanti) e tre figure dominanti: la femmina, la formula e l’inversione, che si alternano nei ruoli di soggetti e oggetti sia degli enunciati che delle enunciazioni all’interno dell’ordine del discorso. Queste tre figure viaggiano singolarmente, a coppie o tutte e tre insieme, si influenzano e condizionano a vicenda. Per quanto, prese singolarmente, risultino tendenzialmente disapproprianti, ognuna di loro pro-tende al furto e all’appropriazione del carattere, delle pre-disposizioni, delle funzioni e delle peculiarità delle altre due figure. Da qui il fatto che tutte e tre le figure siano polivalenti e plurisignificanti, e che saranno quindi soggette a inevitabili e necessarie sovradeterminazioni. Al fine di un possibile inquadramento sarà opportuno tenere da conto almeno la pre-disposizione dell’autrice all’auto-analisi, la volontà desiderante che si trasmuta in una volontà di potenza, i vari linguaggi che si rincorrono nell’opera, e via dicendo. Ogni linguaggio è il linguaggio proprio di uno degli elementi, proprio sì ma filtrato e rimodellato dai linguaggi degli altri elementi. Perché l’opera esiste solo nelle concatenazioni tra gli enunciati e tra i piani significanti che essi stessi creano tramite le enunciazioni. In tale ottica l’enunciato potrebbe essere considerato come il soggetto dell’enunciazione, e l’enunciazione come l’azione comunicante e trasmissibile dell’enunciato. Nella poetica goriniana, da un certo punto di vista, l’enunciato corrisponde al flusso e l’enunciazione alle interruzioni del flusso, ribaltando così la precedente proposizione che conferiva  all’enunciazione l’azione o la facoltà d’agire mentre l’interruzione, per definizione, tende a bloccare l’azione. Allo stesso modo l’enunciato, che si presuppone immobile, scorre all’interno del flusso. Questo ribaltamento è un’inversione, mette in forma una formula, un modo d’essere, una modalità di scrittura e, infine, uno stile.

Per questo parleremo, in un contesto diverso da questo, in senso più ampio e articolato, del flusso e delle sue interruzioni, ovvero: da un lato un asse (il piano ove stratificare e divaricare la cosa), un asse anche metaforico se vogliamo (ma sarebbe più consono definirlo simbolico) un asse che scorre e dall’altro lato una serie di intervalli, per così dire, metonimici, il tutto per arrivare alla funzione (al funzionalismo) di un dispositivo che definiremo di «ingabbiamento» e che rappresenta il vero punto focale, una sorta di punto generativo, spesso complicativo, che dipana o ingarbuglia, a seconda dei casi, il filo della matassa.

La lingua dell’io e la lingua dell’altro fuse e confuse in un unico sistema estensivo formano una sorta di super-io letterario e linguistico. Questo super-io è il principale artefice di quell’atto di resistenza che è l’atto di creazione, un atto dove l’attore principale, il protagonista non è solo la lingua ma, anche e soprattutto, il corpo della lingua, la pelle e l’anatomia di un qualcosa che indica o comunque lascia presuppore uno spessore che, almeno in teoria, dovrebbe travalicare il sistema segnico che lo connota. Quest’atto implica una responsabilità in chi lo compie, quella di graffiare e penetrare a sua volta il corpo della totalità, il grande involucro che ci contiene, ma che ci dà anche la possibilità di agire e di essere agìto. Ed è in questa doppia agitazione, nella figura di questa doppia agitazione che la scrittura si rende mobile, produce energia, si sposta continuamente dal suo asse, inverte la rotta.

Si potrebbe parlare quindi di una poetica dello sdoppiamento rivolta alla rincorsa dell’altro e al riconoscimento delle parole dell’altro. Ciò avviene anche attraverso una voluta confusione dei due ordini del discorso (ovvero di un dialogo) a tal punto che, soventemente, non si comprende se chi parla sia l’io o l’inconscio, perché lo sdoppiamento è sempre reversibile nei due sensi, per dirlo proprio con le parole dell’autrice, entrambi gli elementi, entrambe le parti “non possono più ritrarsi/ in solitudine”, devono cioè esporsi insieme e simultaneamente.

Nell’opera difatti troviamo due testi.

Definiamoli: il primo testo è quello puro o, se preferite, epurato dalle parentesi, il secondo invece è quello racchiuso dalle parentesi. Si potrebbe parlare di una serie di incisi ma, sorvolando sulle implicazioni psico-cognitive della serialità che genera inevitabilmente una disseminazione quasi incontrollata, il loro fissaggio fa scendere in campo diverse accezioni. Le parentesi sono allo stesso tempo gabbie dalle sbarre d’acciaio e veli. Impenetrabilità e insieme penetrazione, opacità e insieme trasparenza. Nel buio dell’inconscio le gabbie si vedono se illuminate dall’esterno, mentre ciò che risiede dietro il velo deve essere illuminato dall’interno per rendersi visibile (e quindi percorribile) nella trasparenza.

In questa doppia e diversamente funzionale luminosità si intravede una prima predisposizione desiderante che mette in luce la doppia caratteristica degli ingabbiamenti a seconda del fatto che si rendano ininfluenti o fluenti. L’ingabbiamento ininfluente è quello la cui presenza non interrompe la continuità del flusso ma anche quello di cui si potrebbe fare a meno (“volere è trascinarsi/ [altrove] finché/ basta poi/ non basta mai”). L’ingabbiamento fluente è quello che provoca un’interruzione volta a moltiplicare le accezioni interpretative o addirittura, come nel caso che segue, creare due testi distinti (“solidale [per intero]/ alla voce che intende/ [smaltire] questo vivido/ senso di appartenenza”), dove l’ingabbiamento di “[smaltire]” stabilisce un asse comunicante-oppositivo tra l’intendimento (conservazione?) e la rimozione, ovvero nel caso specifico: lo smaltimento dell’appartenenza.

In definitiva, questo ingabbiamento, questo porsi tra parentesi rappresenta una sorta di accentazione inconscia. Del resto “l’inconscio è il discorso dell’Altro” (Lacan). L’autrice pone un accento ideale su una determinata parola o su un sintagma come per evidenziarne l’importanza, si potrebbe dire: la portata, letteralmente la capacità di portarsi oltre l’evidenza semantica. Così facendo pone in luce ciò che ristagna o fibrilla (ma è la stessa cosa) sotto e dentro l’apparenza e la sostanza linguistica del testo. Queste accentazioni ingabbiate, prigioniere della latenza, rispecchiano l’effettiva consistenza del sé. Si tratta di connotare, denotare, ma sempre lasciando uno spiraglio per prendere una boccata d’aria, per creare un buco, per quanto piccolo, che possa rappresentare un punto di fuga, ma la realtà è che quelle proposizioni si fissano, restano, inaugurano un ulteriore percorso di rivelazione. Il vero senso dell’opera è in quell’inconscio  ingabbiato che detta le scansioni e le figurazioni del suo essere-al-mondo, con tutte le implicazioni e le conseguenze che la sua voce  potrebbe produrre. Si potrebbe presupporre che questi ingabbiamenti non siano semplici espedienti estetici o singoli enunciati privi di contesto, ma che rappresentino, attraverso un processo di condensazione e sintesi, la risultante di una catena significante che, nel momento della sua esposizione, perde lo statuto di traccia fantasmatica per innestarsi (coup de greffe) nel discorso conscio. Gorini assume, in sé, le figure-di-sé facendole rinvenire dal fondo e stagliandole in superficie. La sua è una specie di offerta sacrificale. Tutto scorre, tutto si interrompe. Tutto riprende la sua corsa verso un qualcosa che resta sempre da rivelare ulteriormente e, soprattutto, da verificare.

In definitiva si potrebbe dire che nella scrittura di Gorini il contatto avviene con tatto, con leggerezza. È una scrittura inscritta in una bolla d’aria dove fluttuano le catene patemiche della sua personale e articolata semiotica delle passioni e dell’attrazione/repulsione che il corpo psico-somatico ha di sé.

 

 

Michela Gorini  (Pesaro, 1971) psicoanalista lacaniana. Svolge attività, laboratori di scrittura, incontri su corpo, linguaggio, femminile. Nel 2018 esce La produzione di amore, Dot.com Press Poesia (nota al testo di Franz Krauspenhaar, prefazione di Giovanna Frene). Nel 2020 esce la tua formula invertita femmina, Edizioni Kolibris (prefazione di Chiara De Luca). Nel 2017 partecipa alla rassegna poetica Langolo della poesia a Pesaro, nel 2019 alla VII ed. del Festival Bologna In Lettere (nota di lettura di Enzo Campi su La produzione di amore), alla giornata di inaugurazione del Forum Anterem in memoria di Gio Ferri, nel 2020 al Festival di Bologna in Lettere VIII ed., al Premio Renato Giorgi. Nel 2019 è segnalata alla 33esima ed. del Premio Lorenzo Montano sez. Opera Edita, per La produzione di amore. Nel 2020 si classifica seconda alla XXXVIII ed. del Premio di Poesia “Umbertide XXV Aprile” per la Poesia Inedita. Riceve il Premio Speciale del Presidente delle Giurie alla VI ed. del Premio Bologna in Lettere. Vince la XXVI ed. del Premio di Poesia Renato Giorgi per la sez. Cantiere. Numerosi testi, inediti e editi, tradotti in inglese e spagnolo, articoli e videoletture, compaiono online su, riviste e canali letterari: Bologna In Lettere, Anterem Edizioni e Premio Lorenzo Montano, Atelier Poesia, Edizioni Kolibris, Irisnews.net, Tele Kolibris, Poesia del Nostro Tempo, Poesia Ultracontemporanea, Poetarum Silva, Laboratori Poesia, La rosa in più, Versante Ripido, Pioggia Obliqua. Nell’Antologia della XXXVIII ed. del Premio di Poesia “Umbertide XXV Aprile” è pubblicato il testo come funziona il tuo amore. Sul n.78 della rivista de Le Voci della Luna sono pubblicati i 4 testi con cui si è classificata al 1° al premio R. Giorgi.