Sonia Caporossi vs Matteo Persico

Bologna in Lettere 2024

Colpi di voce

Le note introduttive

Sonia Caporossi vs Matteo Persico

 

Analizzando in particolare Warbling, scintillante silloge d’esordio, ho avuto modo, tempo fa, di sottolineare come “l’indagine poetica di Matteo Persico si concentri sulla meraviglia improvvisa di oggetti d’uso che assumono valore solo quando entrano in contatto col soggetto percipiente, in un cortocircuito referenziale che mi permette di definire questa poesia nei termini di un originale e riuscito soggettualismo esperienziale”.

In effetti, rispetto a una dimensione puramente oggettuale che, di norma, mantiene il focus sull’oggetto-per-l’-oggetto e non esce da un descrittivismo spaesante e straniante in senso sklovskijano, la presenza del riferimento individuale che emerge dai versi di Persico recupera piuttosto un’idea di soggetto sui generis, metalirica e di ricerca, che lo vede calato esperienzialmente all’interno di un dispositivo sociale, disperso e combusto nel magma di una biopolitica anamorfica la quale spaccia nascostamente la propria reale immagine sotto gli strati poco guardinghi di un’autoconsapevolezza obnubilata, oppressa dalla burocrazia e dalle imposizioni della nostra vituperata civiltà occidentale; tale che, a dirla tutta, si potrebbe persino parlare di poesia civile di tipo sperimentale, laddove la denuncia dei mali della società lascia abbondantemente il passo all’ostensione pura e semplice del dato, del vissuto, dell’esperienza nuda dell’essere inquadrati in categorie, schemi, strutture normative e imposizioni coatte, come se l’individuo disperdesse la propria identità veritativa e la demandasse all’individuabilità posticcia concessa dalla lettura ottica di codici a barre.

Così, leggendo questi versi, capita di aggirarsi nei meandri più sperduti di veri e propri castelli kafkiani ultracontemporanei in cui, come novelli K., incontriamo ben presto istituzioni nominalistiche gauniloniane come l’INPS, gli istituti di Previdenza Complementare, l’AMA (cooperativa romana della nettezza urbana), ma anche stanze d’albergo e colazioni americaneggianti condite in salsa ranch, paesaggi urbani ricolmi di scavatrici (sentite l’eco pasoliniana?); e insomma, tutta la carrellata possibile delle situazioni e delle figurazioni attraverso le quali assumono forma e sostanza le nostre identità plasmate dal Sistema con la S maiuscola. Nel rovello analitico che per Matteo Persico ne deriva, non c’è spazio per la lamentazione, anzi: il tutto appare ricoperto abbastanza patentemente da una pennellata grassa di ironia e di sarcasmo quasi cioraniano, che decostruisce lo spirito di denuncia imputabile a tanta facile poesia impegnata, per andare a parare verso lidi originali e poco esplorati: quelli che disaminano il reale considerando gli universali come flatus vocis, puri nomi, a cui solo la realtà degli individui corrisponde, in cui solo l’individuale si rispecchia, nella dismissione più totale dei filosofemi e degli ideologismi di maniera. (Sonia Caporossi)