Premio Bologna in Lettere 2020 – Nota critica di Daniele Poletti a Francesca Gironi

Premio Bologna in Lettere 2020

Sezione B (raccolte inedite)

Francesca GironiIl diretto interessato – Prima classificata

 

Il diretto interessato è una raccolta poetica che ha diverse chances per essere apprezzata da un vasto pubblico e per poter aspirare quindi anche un certo riscontro commerciale (questo ovviamente col beneficio d’inventario e concedendo beneficio del dubbio, trattandosi di poesia). Intanto, in effetti, è l’opera vincitrice per l’inedito dell’edizione 2020 di Bologna in Lettere. 
Ci troviamo di fronte a una scrittura che si presta a una certa performatività – senza pensare certo alle seriose e accorate letture autoelucubranti – di cui Francesca Gironi è frequentatrice. Anzi si direbbe che la prosodia di almeno metà del libro nasca dall’esigenza di dare corpo, oltre che voce, all’inanellarsi di una “questione intima” che si manifesta come racconto a mosaico del travaglio interiore. Le piccole tessere che ne fanno parte  ruotano attorno a tematiche a carattere traumatico come amore, lutto e ricordo, il tutto circonfuso da un senso spiccato di disillusione che prende a tratti connotazioni autoironiche, ma mai di smaccato di cinismo. Le stesse caratteristiche le ritroviamo anche nei testi Quattro rotte, tassello autonomo di impegno politico-sociale e Agosto, entrambi di respiro più ampio, ma fatto salvo di quanto detto sopra per il loro meccanismo iterativo, nativo per voce. Dunque poesia secondo la sua istanza più immediatamente comunicativa, dove la pressione dell’esigenza di tradurre in messaggio quel travaglio è in rapporto di scambio biunivoco col corpo che ne è strumento. Il corpo mutua la parola, la parola mutua l’emissione del corpo. Ma questa modalità, almeno per ciò che pertiene a Il diretto interessato, ha un suo contesto speculativo e meta-poetico (anche) in tutta la prima parte del libro, a mio avviso prolegomena misurato di una cifra espressiva che progressivamente si attutisce o si acuisce (dipende dai punti di vista) in una seconda parte forse eccessivamente assertiva.
Chi è il diretto interessato?
Francesca Gironi struttura una sorta di taccuino della convalescenza, su un prima non narrato, che evoca un disturbo di dissociazione. Quello che ci perviene è lo strenuo tentativo della “persona” di essere riconosciuta e riconoscersi in quanto tale. Subito in apertura si inaugura questo agone dialogico con l’alterità, con qualcuno che sta al di là (in questo caso dello schermo), rendendo immediatamente patente la problematica della comunicazione e del linguaggio; «Il referente dialogico è assente» scrive Gironi nella seconda poesia. La “malattia” diventa così metafora del tentativo di recuperare un mondo affetto da afasia e schizofasia, il metodo di analisi, attuato come strategia di ricostituzione del senso, passa attraverso lo sdoppiamento dell’io poetico nel dispositivo denominato “la mia persona”: «La mia persona parla al diretto interessato/ gli dà del tu, si dà dell’io, è un rapporto bilanciato/ se non fosse che il tu è sempre muto e l’io indignato». Questo diaframma che si interpone tra il protagonista dell’azione e la realtà, appare come una valvola di controllo sulla probabilità di non riuscire a rimettere il mondo nei suoi cardini, adombrando il timore del non essere compreso, riconosciuto e di non poter stabilire un contatto catartico con l’altro, vero obiettivo per decretare la guarigione.
Il diretto interessato è colui verso il quale si rivolge un atto linguistico-comunicativo, che produce degli effetti nella sfera dei diritti e dei doveri e dunque della responsabilità, ma nella raccolta di Gironi, in un sistema di rifrazioni progressive, il diretto interessato è sempre in absentia. C’è un sottrarsi continuo che non permette di stabilire un canale di rappresentazione, indispensabile per organizzare l’esperienza percettiva («qui c’è un tu antico (un du, un Sie)/ a cui rivolgere un discorso ereditato/ che si sottrae e si sottrae»). Il venire meno, il non esserci, la sottrazione, vengono via via declinati in diverse promanazioni: sul (in effetti il fittizio raddoppiamento de “la mia persona” nasce proprio dal venir meno dell’io o dalla difficoltà di gestirlo: «La mia persona riesce a pagare il biglietto/ bere acqua/ controllare lo stato delle sue gambe./ Quando urta con violenza/ contro una scala a chiocciola/ sente.»); sull’altro (un “tu” che è l’io stesso, ma anche un “tu” che coincide con la figura amata o desiderata e con la madre morta, entrambe assenti); e sul linguaggio stesso, che finisce per diventare il principale imputato di una denuncia e di una ricerca che rimane insoluta. Trovare il “bandolo della matassa”, come recita una delle sezioni della raccolta, significherebbe affacciarsi “allo sportello della felicità” (idem), ma per il momento:

 

Sapeste che fatica
scegliere i segni, presuppore un codice
per un messaggio che non trova cenni
d’assenso e nel frattempo
emettere suoni avendo cura
di non sovrapporre i discorsi.

 

Per il momento quei suoni rimangono in attesa di trovare la loro eco, ma non nel senso di una nuova proliferazione di interlocutore, quanto nel  corporificarsi di un significato che sia finalmente accolto se non proprio condiviso. (Daniele Poletti)