Premio Bologna in Lettere 2020 – Nota critica di Maria Luisa Vezzali a Veniamo da vicino di Simone Biundo

Premio Bologna in Lettere 2020

Le note critiche agli autori segnalati della Sezione C (Poesie singole inedite)

Simone Biundo, Veniamo da vicino

 

 

E’ un viaggio a sud quello che propongono le tre poesie di Simone Biundo, poeta genovese nato nel 1990, insegnante, traduttore, editor della rivista “VP Plus” ed esperto di storia dell’editoria e critica letteraria. In una Puglia assolata e santa, percorsa dal brivido di presenza della morte, nei primi due testi. In un Abruzzo che porta la lacerazione dei sismi come un presagio persino nei nomi dei suoi paesini medievali, nel terzo. Un viaggio in cui passato e presente si incontrano e fondono, come se la persistenza dei dati nella memoria individuale andasse in armonioso accordo con la permanenza dello spettro della storia nei luoghi visitati. Non è un caso dunque se il primo testo porta il titolo Memento. Qui la relazione dei due turisti compie una catabasi al fondo della cripta del duomo di Lecce, trovandovi il sostrato di eros e thanatos che fonda ogni vicenda amorosa: le «ossicina smangiate» e il «teschio sdentato» dei martiri si ribaltano nel «pure tu sarai un teschio» e nello «spero almeno ti rimangano i denti» rivolti dal partner al soggetto, mentre la rievocazione del cibo mangiato e minuziosamente nominato (la frutta, le minestre, la pasta col pesto e le cime di rapa) e dei baci sferrano il contraccolpo vitale dell’esistenza. Tutte «cose buone» che nel perturbante teatro ctonio della cripta sussumono l’estensione della loro natura preziosa ed effimera. L’orizzontalità dello spazio nel testo “E’ tutto piatto”, intessuto di pianure e di calmo mare incantato, nasconde l’insidia di un ambiente ferito da agenti patogeni industriali e biologi: la verticalità dei «capannoni fatiscenti» di uno sviluppo economico negato da un lato e degli «stecchi con tosco» dei rami degli ulivi intossicati dalla Xylella dall’altro. Si comprende, dunque, l’esergo posto da Biundo alla suite, tratto dalla favola buzzatiana Il segreto del bosco vecchio, dove la sacralità della natura è efficacemente affermata e stuprata. Ed è su questa insidia che i versi si chiudono: una «trappola» allegorica, filata dal ragno «tra il muro e la pietra», dove l’attenzione del lettore è catturata insieme alle «formiche con le ali». Nella terza poesia dedicata a Frattura vecchia, borgo abbandonato dopo il terremoto della Marsica, la natura pare aver riconquistato l’oikos, l’ex recinto antropico di un’umanità sfollata. Adesso «il fico abita le finestre», «dal tetto si sporge la rosa canina / e i rovi riempiono di more le strade». E’ in questo contesto che i viaggiatori apprendono «la durata», una continuità che in qualche modo le foglie e il verde riescono a strappare alla violenza, mentre nell’elemento umano si manifesta come una ripetizione incisa dal negativo, da un anello che non è stato regalato e che – nella ritualità di un’unione affermata nei riverberi del suo impossibile – ricorda a tratti il testo scritto da Pasolini per la Callas in Trasumanar e organizzar. Ma ecco che si alza il vento e i due soggetti sono avviluppati da un «turbinio di polvere». Se proseguono lungo il sentiero, se continuano a leggere i «segnali per il lago», è perché il primate Homo è una creatura simbolica che sta vicino (prope) all’essere. E il suo “proprio” è inevitabilmente l’ascolto delle voci che da intorno, da dentro, da vicino, incessantemente intonano il canto della caduta e della redenzione. (Maria Luisa Vezzali)