Premio Bologna in Lettere 2021 – Maria Luisa Vezzali su Massimo Rizza

Bologna in Lettere 2021

Il Festival online

 

 

Premio Bologna in Lettere 2021

Sezione C (Poesie singole inedite)

 

 

Massimo Rizza

La misura del testo

 

 

Nota critica di Maria Luisa Vezzali

 

 

 

Che cos’è la misura del testo? In poesia si intende di solito il metro, il numero dei tempi contenuti in un verso. E di certo la proposta di Massimo Rizza è in questo senso assolutamente “misurata”: tre parti, ognuna di otto righi, che girano tutti intorno alle venticinque sillabe, con sei accenti forti, per un totale di circa cinquecento battute per parte. C’è poi una misura del testo che è la sua temperatura, la capacità di regolare il contenuto emotivo e concentrarlo e sublimarlo in modo che non si fiacchi nell’esternarsi, ma anzi l’energia trattenuta esploda maggiormente nei vuoti tra le parole e nelle loro reciproche nostalgie. Anche in questo altro senso le poesie di Rizza sono misuratissime, condensando per ognuno dei tre testi in un’unica porzione di verso il climax del dettato patetico (se mi guardi quando cammino perdo l’equilibrio / il tuo sguardo mi penetra / prima che tu arrivassi non c’era), ma con lo stratagemma raffreddante e distanziante di mettere le frasi in corsivo e tra virgolette, come lemmi di un repertorio amoroso a disposizione, ma dal contesto continuamente proiettati nell’umbratilità dell’impraticabile e della voragine. C’è infine una misura del testo che è la sua possibilità di spazializzare l’interiorità, di prestarle una forma, un’altezza e una profondità che superino l’impedimento della relazione, che mappino un sopra, un sotto, un a-fianco grazie ai quali costruire un incontro. Ma questa misura è più che altro indice e spia della dismisura di ciò con cui un testo si confronta. Ogni volta che si ricomincia le distanze sono «confuse», le dimensioni «imprecise» e, se si spinge «il discorso sull’orlo dell’incomprensibile», è solo per «ritrarlo per un attimo / prima dell’entrata nel vuoto». «Per un attimo» nel primo testo, «per pochi istanti» nel secondo. Si tratta quasi di tropismi, «moti indefinibili che scivolano molto rapidamente ai limiti della coscienza» (Nathalie Serraute), scaturigini che presuppongono gesti o impulsi che si pensa di provare e che costituiscono come un’ipotesi di radice segreta dell’esistenza. Chi legge è scagliato in questa vita intermittente, in un panorama di fuochi fatui e miraggi che non approdano ad alcuna oasi di senso risolutivo, nonostante la precisione con il quale ci si dilunga nella «preparazione dei materiali», con cui vengono predisposte le cose occorrenti e utilizzati tutti gli strumenti della topografia. La circostanza rimane «senza punti fermi», la figura non procede «nella direzione / ricercata e voluta», nessun segno è «definitivo», ogni risultato «approssimativo». Tra testo e ricevente si verifica in questo modo un braccio di ferro, un tiro alla fune per trascinare l’esito dalla parte o del fallimento («cancellando ogni possibilità di incontro», «disperdere ogni possibilità di dialogo») o del successo («punto da cui partire per congiungersi in alto») e che, invece, non ha chance di chiudere su una decidibilità. Ed è proprio in questa tensione – che può pure lasciare sfiniti, finché non si desidera «solo dormire in fondo alla pagina» – che parola e lettore si trovano sospesi, agonicamente, sentimentalmente relati in una indefinita prossimità, la quale sancisce non solo un «possibile riavvicinamento al testo», ma anche uno sfiorarsi che non è solo apparenza.