Premio Bologna in Lettere 2021 – Giacomo Cerrai su Giorgio Rafaelli

Bologna in Lettere 2021

Il Festival online

 

 

Premio Bologna in Lettere 2021

Sezione C (Poesie singole inedite)

 

 

Giorgio Rafaelli

Ritorni

 

 

 

Nota critica di Giacomo Cerrai

 

 

 

Si leggono tre poesie di uno sconosciuto, come avviene in questa sezione, poi un po’ ci si ragiona, si giunge a qualche convinzione, come nel caso di Giorgio Rafaelli. Nella cui poesia, mi è parso di capire, le evidenze, i fenomeni, i fatti, le circostanze dell’essere e così via non sono tanto spunti dello scrivere quanto riprove del pensare, giustificazione ed essenza, che in quello scrivere trovano semmai determinazione. Come se, insomma, la poesia preesistesse al caso, oppure, per usare una terminologia di Rafaelli, “presentisse” l’arrivo di qualcosa, fosse pure infinitesimale, che la renda necessaria, anzi giusta in una sua (cito) “sintassi del giorno”, in una sua – quindi – sistemazione nel tempo. La poesia, in questi versi, dà ordine a qualcosa che – direbbe l’autore – coglie impreparato, certo, magari l’inatteso di un oggetto, ma nel senso di una meraviglia intelligente in cui spesso tempo e luogo si coagulano   in qualcosa  qualche volta di “inadatto”, oppure in mancate corrispondenze tra cose o persone (presenti o assenti o solo ricordate), non tra di loro ma rispetto, come dire, ad una loro collocazione esistenziale o meglio ancora, all’interno della storia particolare di ciascuno, oppure (cito) in “relazioni mai del tutto verosimili”, o là dove “le strade che si incrociano dei morti e dei vivi” lo fanno “con parole indistinguibili per gli uni e per gli altri”. Al fondo della poesia di Rafaelli mi sembra ci sia proprio un “fuori posto”, che non è quello dell’incoerente disagio che si rinviene in tanta poesia letta in questo concorso, ma a me appare piuttosto una poetica, ovvero la convinzione che fuori posto convenga stare, che convenga sempre guardare alle cose da un punto decentrato ed ellittico, sfruttando il salto di potenziale poetico che c’è tra certo e incerto, tra ordinario e ordinato e dis-ordinario, tra atteso e subitaneo. Perciò nei testi che abbiamo letto troviamo certo dei momenti, limitati nel tempo e nel luogo, però non occasionali o statici o raffreddati nel ricordo, ma circostanze in qualche modo critiche, che cioè sarebbero di per sé banali se non comprendessero in nuce l’ispirazione (ma sì, usiamo questo termine desueto) di un qualche “segreto” che montalianamente debba essere custodito. Così l’arrivo in una stazione ferroviaria, un cambio stagionale degli armadi, una cornice fotografica appesa al muro non sono rivelazioni altro che del loro esistere, forse non epifanizzano nulla e non importa poi tanto, tuttavia la loro presenza è una soglia che va attraversata, è necessaria ad un tentativo di “mettere a posto”, fa da concreta sponda al poeta nella ricerca di un senso consonante, ricerca che non è detto che vada – e anche questo forse non importa – a buon fine. A tutto concorre la scrittura di Rafaelli, parole che non si compiacciono, parole tutt’altro che indistinguibili, anzi che si prendono una per una il loro spazio all’interno di testi a cui non importa l’estensione, il registro, la prosodia ma piuttosto la completezza, il compimento dell’idea. O meglio ancora la piena esplicitazione dell’interrogativo di cui è fatta molta buona poesia, secondo un percorso – forse non originale ma certo efficace – reattivo di fronte ai segnali, in cui cioè quel che c’è di oggettuale, quello che si percepisce come reale non è che pre-testuale rispetto ad un successivo sviluppo di un pensiero che   “sincronizza la ragione” alla poesia, e a cui importa non certo asserire quanto esserci, essere qui in questi versi. Se poi conciliare in versi il disordine dell’ordinario non sempre è realizzabile, è un rischio che deve essere accettato e che fa parte di quell’angoscia (cioè di quel sentimento di fallacia) che è anche una sfida e che è insito in ogni scrittura di qualche valore.

 

 

 

Giorgio Rafaelli nasce a Roma dove si laurea in fisica. Si trasferisce ad Avezzano nella Marsica per lavorare in un’azienda tecnologica operante nel settore dei semiconduttori. Pubblica nel 2016 il libro di poesia “Ultimo firmamento” (Pegasus Edition) quale vincitore nello stesso anno del primo premio al concorso Pegasus Golden Selection. Nel 2017 esce la silloge “Il nostro debole apparire” (Edizioni Helicon) che ottiene diversi riscontri tra i quali nel 2018 la “Targa Città di Cattolica” al Premio Letterario Città di Cattolica X^ edizione e il premio speciale della giuria alla 43^ edizione del Premio Letterario Casentino. Tra i numerosi riconoscimenti sulla poesia singola inedita si segnalano nel 2018 il primo premio nella 43^ edizione del Premio Letterario Casentino e nel 2019 il primo premio nella 21^ edizione del Premio Letterario “Il Litorale”. Sono ancora del 2019 una menzione d’onore al premio Lorenzo Montano e una segnalazione al Bologna in lettere. È presente in molte raccolte antologiche di concorsi letterari.