Colpi di voce – Le note introduttive – Enea Roversi vs Mariasole Ariot

Mariasole Ariot

 

Di Mariasole Ariot mi aveva enormemente colpito, qualche anno fa, la raccolta Anatomie della luce, uscita nel 2016 per Nino Aragno Editore, che comprendeva 28 brevi prose accompagnate da altrettante immagini in bianco e nero, opera della stessa Ariot. Il libro fu tra i finalisti del Premio Bologna in Lettere 2021 e in un articolo scrissi che si trattava di «un libro di struggente e cristallina bellezza, in cui poesia, prosa e immagini si fondono mirabilmente.».

La conferma delle sue qualità l’ho avuta leggendo Elegia: è da questa raccolta che Mariasole Ariot ci legge oggi alcuni testi. Elegia, opera vincitrice del Premio Lorenzo Montano 2021 per la sezione raccolta inedita, nel 2022 è diventata un libro, pubblicato da Anterem Edizioni / Cierre Grafica nella Collana La Ricerca Letteraria, con una postfazione di Giorgio Bonacini, il quale così definisce la poesia di Ariot: «oltre la mera realtà, aderisce in attrito con il reale individuale da cui nasce, liberando le sue potenzialità non circoscritte o racchiuse.».

Questa breve raccolta inizia con l’epigrafe È così il buio. È così la luce e abbiamo, fin dall’inizio, una contrapposizione di elementi: il buio e la luce, così come più avanti troveremo dentro e fuori e locuzioni verbali che si oppongono specularmente di dire – e di non dire, dove arrivo – e non arrivo, questo fare e disfare, avermi e non avere.

È una poesia dove la parola a volte viene detta e altre volte è indicibile, dove l’azione non accade, sta forse per accadere o magari è già accaduta.

L’atmosfera che emana è incorporea, rarefatta, eppure non siamo di fronte a una scrittura basata su pure astrazioni, anzi: nei versi di Ariot c’è tanta materia, ci sono elementi della natura (i fiumi, un lago), animali (le scimmie nelle gabbie), ci sono case, esseri umani, ma trapela ovunque un senso di mancanza, di assenza, si prenda come esempio il verso  –  questa strada senza passanti – o quello, drammatico e tagliente, che recita – questa vita che non vive  – .

Emblematico appare questo testo: Il terrore – di dire – e di non dire – la verità che a volte – arriva – in una notte – mentre riposano i mille – personaggi che hai creato – e tu diventi – la loro stanza vuota dove domina il contrasto tra il vuoto della stanza e la folla dei personaggi.

In un altro testo è il verso questo buco è pieno a metterci di fronte all’ennesimo dubbio, all’ennesima contraddizione: tutta la costruzione di Ariot è marcatamente improntata a generare dubbi nel lettore, a metterlo di fronte alle incongruenze della vita, a ricordargli, mettendole per iscritto, le antinomie di cui è popolata l’esistenza.

L’essere umano di Elegia (non importa che lo si voglia considerare o meno un io narrante) è alle prese con il proprio spaesamento, con il dolore che è sempre pronto ad affacciarsi, con i propri spazi e i propri tempi da riempire, perennemente alla ricerca di qualcosa di indefinito, molto probabilmente indefinibile.

I versi di Mariasole Ariot sono lineari, le parole sono intercalate da trattini che hanno la funzione di circoscriverle e di evidenziarle: sono versi brevi, appuntiti, sui quali l’autrice ha effettuato un rigoroso lavoro di limatura.

Qui nulla è di troppo e nulla è lasciato al caso: Ariot dispone i suoi testi sulla pagina come fossero istantanee, lei che d’altra parte è anche artista visuale nel campo fotografico e documentaristico.

Quindi non limitatevi ad ascoltare i suoi versi, ma fate di più: cercate di immaginarli, di osservare l’inquadratura di una foto, di scoprire qualcosa al di là delle parole. (Enea Roversi)