Colpi di Voce – Le note introduttive – Sonia Caporossi vs Carlo Ragliani

Carlo Ragliani

 

Per Carlo Ragliani, la poesia è un mezzo preferenziale che consente la felice emersione di quell’aspetto residuale che rimane indagabile nella dimensione nascosta dell’esistenza. Il poeta è, secondo questa visione, unico detentore del potere fondazionale di un linguaggio-verità che procede per svelamenti progressivi in cerca della parola che possa dire l’insondabile. Si tratta, con i suoi stessi versi, di “ricomporre l’opera / erigerla all’esistenza”, evitando di far prevalere “l’esigenza / di finitezza”. In questo senso, quindi, occorre assumere all’evidenza fenomenica il sommerso misteriosofico dell’anima del mondo, attraverso un linguaggio poetico che evochi continuamente la cantilena della trenodia degli Universali, come nelle formule suadenti di un atto consumato di magia bianca. Nessun significante, in questo rinnovato poeta-Vate, è lasciato al caso: ogni elemento detentore di un significato, in una sorta di nuovo ermetismo della parola assoluta, rimanda a un universo di significazioni altre, che si spalancano patenti e libere da vincoli di refrattaria materialità, verso l’ideale astratto e astraente di un’ermeneutica che si fa mezzo di disvelamento, non fine per sé stesso. L’oscurità del verso e dell’espressione riflette la complessità delle cose e non spaventa Ragliani, che si fa forte di una “lingua occulta” forgiata dagli strumenti febbrili della tensione alla trascendenza più irraggiungibile. Attraverso le suggestioni alchemico-religiose della Cabala e degli strumenti della filosofia dell’Essere, il poeta può penetrare ontologicamente i segreti della vita e della morte, in una sorta di opera al nero che apre i passaggi dimensionali tra le semiosfere terresti e quelle celesti. Eppure, ben presto, si scopre che trasumanare non significa necessariamente elevarsi al di sopra delle brutture e del male, anzi: si tratta di andare a vedere come stanno realmente le cose, si tratta di verificare “l’artificio, l’inganno, il sigillo” perché, alla fine di questo percorso infaticabile di ricerca, si rende evidente un fatto irrevocabile, ovvero che “è perversa / la via di ogni origine”. Per questo, la ricerca senza requie della propria umanità è un intus-ire perennemente doloroso e senza scampo, a rischio perpetuo del fallimento, unico vero monito che ostacola, nella teoresi e nella prassi, la tortuosa e affascinante via del Poeta-Pellegrino. (Sonia Caporossi)