Premio Bologna in Lettere 2023 – Veronica Tinnirello – Nota critica di Enea Roversi

Premio Bologna in Lettere 2023

Sezione A (Opere Edite)

Nota critica su Veronica Tinnirello

Mappatura dell’idrogeno

Transeuropa Edizioni

 

 

Uscita nel 2021 nella Collana Nuova Poetica 3.0 dell’editore Transeuropa, la raccolta Mappatura dell’idrogeno di Veronica Tinnirello si segnala per il proprio linguaggio essenziale e incisivo, non privo però di un accorato lirismo, personale e per nulla scontato.

Suddivisa in tre parti: L’addio di un soprammobile, Hordeum Murinum e Telai radice, l’opera di Tinnirello ci porta all’interno un mondo in crisi: crisi ambientale, sociale, economica e non solo.

Ha ragione Franca Mancinelli quando nella sua puntuale postfazione dice: «Questi testi di Veronica Tinnirello assomigliano a un pack alla deriva: contengono immagini lastre di ghiaccio che si muovono sulla superficie di un mare polare. Leggermente sghembe, si giustappongono senza mai combaciare del tutto, nitide e insieme impenetrabili, fluttuano appena, portate dai venti, da correnti invisibili.».

Traspare infatti qualcosa di sghembo, di invisibile, nei versi di Tinnirello, che pure descrive luoghi e persone così come sono, così come potrebbe vederli ognuno di noi con i propri occhi.

Per farlo si affida ad un ragguardevole bagaglio di conoscenza e lo si può ravvisare dall’uso di un vocabolario ricco e dalle citazioni colte comprese nei testi.

La prima parte, intitolata  L’addio di un soprammobile, è suddivisa in quattordici stasimi, numerati progressivamente. Qui l’autrice ha preso ispirazione dalla tragedia greca: lo stasimo infatti è, nella tragedia greca, il canto del coro che commenta la scena.

Il primo stasimo inizia con questi versi: un treno il suo paesaggio pensiero artico e tutte le orme. / il documento chiuso deve aderire al presente per non essere perso e termina con i seguenti quando la mano incerta sul foglio non sa / linee a caso per. cosa dire. come battere la fine.

Si trova, racchiuso in questi versi, tutto il senso d’incertezza e di realtà fuggevole, quel percepire sghembo di cui parla Mancinelli e tutta la raccolta si muove lungo queste corde.

Una carta geografica aperta, poi ripiegata, sulla quale Taiwan è soltanto un posto in cui si costruiscono prodotti che compriamo e poi gettiamo: desideri imposti e cicli produttivi che si moltiplicano senza sosta.

Ma in fondo la carta geografica aperta, ci ricorda Tinnirello, ha la stessa grandezza di un cofano: le grandezze sono dunque relative, i confini sono relativi, la mappatura si rende però quanto mai necessaria, sembra ammonirci l’autrice, non solo per ricavare la geografia della nostra galassia, ma anche (forse, soprattutto) quella del nostro essere.

Le immagini sono particolarmente penetranti, ne cito alcune: restano in frigo gli ultimi due omogenizzati della vecchiaia oppure un saluto funerario. una targa il tempo verbale dell’addio o ancora la suoneria a vuoto delle domande. dopo di te chi.

Hordeum Murinum, che dà il titolo alla seconda parte della raccolta, è l’orzo murino, pianta erbacea considerata infestante. Qui lo sguardo dell’autrice inquadra e scatta delle vere e proprie istantanee: come definire altrimenti versi quali l’estate è un capannone vuoto con i fiori rovesciati per esempio, oppure anche l’ocra di questa parete è simbolo di grembo e anche nel magazzino la postura della forchetta. una t-shirt bianca.

Non è un caso che nell’esergo ci sia un estratto da Giorgio Messori che cita Giorgio Morandi e Luigi Ghirri perché in questi versi ci sono davvero la luce di Morandi e la nebbia di Ghirri, c’è il paesaggio post-industriale con le sue sfumature di rarefatta inquietudine, ci sono l’archeologo che scava nel passato e l’esploratore alla ricerca dell’ignoto: l’atmosfera è realmente densa di luce e nebbia insieme.

La terza parte della raccolta s’intitola Telai radice ed è riferita all’industria tessile di Prato e della Val Bisenzio, realtà che l’autrice conosce bene, essendo i luoghi da cui proviene.

Tinnirello mette all’inizio questi versi: tutti i vecchi panni andavano a finire in questa città. / anche il grande abito della seconda guerra e inquadra da subito, alla perfezione e in modo essenziale, ciò che ha rappresentato per Prato lo sviluppo del tessile, l’accumulo degli stracci provenienti da ogni parte, metafora malinconica e reale di una società in disfacimento.

Si parla di industrialarchaeology, di processi lavorativi, del boom e della susseguente crisi e quindi di abbandoni: capannoni vuoti, stabilimenti che a volte vengono riconvertiti, come nel caso di un grande lanificio che è rinato come biblioteca (guardi fuori per poter pensare. questa biblioteca prima / era una fabbrica dei tessuti il finissaggio. ora un uomo seduto / fissa la grande vasca vuoto museo).

Tinnirello indaga poi la realtà del quartiere Macrolotto Zero, detto Chinatown, dove i linguaggi, i segni e perfino a toponomastica si mescolano, seguendo un filo rosso che porta a Shi Cheng, città millenaria cinese i cui cittadini vennero fatti evacuare e che in seguito fu sommersa per la costruzione di una diga: racconta la Cina l’ennesima diga. sul fondo dell’acqua la calma delle pietre / ancora intatta Shi Cheng la città sommersa. lei racconta / con la voce di un documentario.

Confini lontani, destini che si inseguono, sofferenze che hanno la stessa consistenza: una mappatura di ciò che siamo è davvero necessario e Veronica Tinnirello con i suoi versi intende ricordarcelo. (Enea Roversi)