Colpi di Voce – Le note introduttive – Nerio Vespertin vs Chiara De Luca

            CHIARA DE LUCA

           

            Che cos’è il mito e dove nasce il bisogno di tramandarlo?

Carl Gustav Jung individuava nelle radici di una cultura comune, il motivo che legava persone completamente diverse a credere nelle stesse immagini: quelle dell’inconscio, degli archetipi primordiali. E se è vero che i miti più diffusi della nostra cultura hanno origini antichissime, che spaziano dall’epica greca e latina, fino alle storie della bibbia e poi ancora prima, a quell’inconscio collettivo privo di tempo, è altrettanto vero che miti nuovi si formano e si mescolano tutti i giorni, scaturendo dalle nostre esistenze plastiche, fatte di praticità ed efficienza.

Ecco, quindi, come una casa diroccata, abbandonata dai suoi abitanti, diviene l’archetipo di una famiglia sparpagliata, di una perdita identitaria.

Una città brulicante nella luce del tramonto diviene invece l’emblema della rinascita e dell’eterno mutamento.

E un trasloco non esprime tanto il cambiamento di un’abitudine e di una convenzione, ma la trasformazione della coscienza che si adatta al nuovo presente.

Nella poesia che oggi Chiara De Luca ci propone, con testi che spaziano dal suo impressionante repertorio, da La corolla del ricordo (2009), Animali prima del diluvio (2010), Alfabeto dell’invisibile (2015-2021) o Il mondo è nato (2020), non si può che rimanere colpiti dalla varietà e dalla scelta delle immagini epiche. Immagini che in parte rimandano a quei miti così noti dal nostro passato remoto, come l’arca di Noè o le grandi migrazioni dei popoli, e in parte trovano le loro radici in un vissuto più vicino. Con un’operazione complessa e delicata, fatta di evocazioni e di trasfigurazioni, Chiara De Luca riesce a coniugare al presente quegli stessi miti e a calarli nella storia meno epica ma più vivida del nostro vissuto quotidiano.

Si aprono così spiragli continui su paesaggi fantastici: città luminose e vivaci, strade immerse nel bagliore dell’aurora, paesaggi sommersi, un fiume che si rannicchia e attende la pioggia. La geografia della poesia è frammentaria, mescola mari e terre con la delicatezza fantasiosa dei bambini. Solo verso la fine, si intuisce che, forse, questi paesaggi non sono esteriori, ma provengono direttamente dall’intimo della coscienza.

            Il testo sfida spesso l’occhio critico, presentandosi con una densità di immagini e di simboli che richiedono molta cura nella sua interpretazione. La lettura è un’opera di riflessione continua, un lavoro intimo di decodifica e in quanto tale impone un tempo rarefatto. La lettura dei testi della De Luca crea naturalmente suspence: la punteggiatura scompare, il verso si contrae e un ritmo cadenzato, simile al pulsare di un cuore ancestrale, guida il lettore verso la comprensione.

            La musicalità scaturisce dai versi senza forzature, come avviene in certi canti popolari o nelle chanson de geste, anche se l’ambientazione delle poesie è quella di un appartamento moderno e non del passo di Roncisvalle.

            C’è distacco e c’è intimità, ma soprattutto c’è il fascino della riscoperta.

            Una riscoperta in cui, in virtù dell’universalità dei miti che Chiara De Luca riscopre, siamo tutti, inevitabilmente coinvolti. (Nerio Vespertin)