Premio Bologna in Lettere 2023 – Linda Del Sarto – Nota critica di Francesca Del Moro

Premio Bologna in Lettere 2023

Sezione C (Poesie singole inedite)

Nota critica su Linda Del Sarto, L’inascolto

 

 

A dare il titolo alla minisilloge di Linda Del Sarto, composta da tre brevi poesie, è un neologismo a cui si possono attribuire due significati di segno opposto: inascolto in quanto derivato dall’aggettivo inascoltato (da in- + ascoltare), nel senso di non ascoltato, e soprattutto non seguito, ubbidito, oppure in e ascolto, vale a dire un invito rivolto a sé stessa e a chi legge a prestare attenzione, a fare spazio dentro di sé per accogliere la parola nella sua pienezza.

“Credo che la poesia debba sempre e soprattutto parlare al lettore di sé stesso: deve prenderlo per mano e invitarlo ad ascoltarsi” afferma l’autrice in un’intervista ad Alma Poesia nella quale definisce nobile una scrittura che parta dal sé per arrivare chiara agli altri, con la forza di una sferzata di vento, di uno schiaffo. Un approccio che potrebbe essere considerato reazionario in un contesto poetico-critico in cui l’efficacia comunicativa è spesso vista come un disvalore.

Scrive Franca Mancinelli a proposito della scrittura di Del Sarto: “Non c’è separazione tra quella che è riconosciuta come propria identità nell’esistenza e nella lingua. Il proprio corpo è anche il corpo della parola, plasmato da un’esigenza di nudità, di trasparenza.” Questa sorta di ibridazione metamorfica tra corpo e parola, che avviene sotto il segno di quella che sempre Mancinelli definisce “primordiale tensione” alla radice dei versi, si ritrova in particolare nella seconda poesia qui presentata, dove “le schiene gonfie contengono parole spaccate” e le frasi sfioriscono insieme a gomiti e giunture nel corpo seduto, chiuso.

La ricerca di nudità e trasparenza è chiaramente espressa sia nel primo sia nel terzo componimento. Nei versi di apertura, è possibile riconoscere da un lato una vena polemica nei confronti dell’attuale panorama delle giovani voci poetiche, dall’altro un’onesta messa in questione del proprio percorso. Con umiltà e franchezza, l’autrice si riconosce esposta al rischio di finire nel novero delle “penne nuove già esaurite”, di ritrovarsi “morta tra le frasi”, fallendo nel proprio intento di dire nonché di mettersi in ascolto di sé, degli altri (“un gran mancato dirsi – l’inascolto”). Per ovviare a tutto questo, è necessario un lavoro di sottrazione.

L’espressione “togliersi tutto” suona come una dichiarazione di poetica che, formulata già nel primissimo verso arriva a definirsi con chiarezza nella terza poesia.  Questa appare attraversata da un afflato quasi mistico che si esprime in particolare nel ricorso alla sinestesia “pensi parole che io vedo”, “discorso lucente” sconfessando le consuete modalità percettive (se le parole vengono pronunciate non si sentono, l’ascolto è senza suono).

Tutto ciò è tematizzato nei versi che ne offrono al contempo l’esemplificazione sul piano formale. “Credo in generale che la poesia breve, e perciò concentrata, possa paradossalmente dire di più, e meglio” dichiara l’autrice nell’intervista già citata. L’obiettivo appare dunque quello di “Levigare le parole / fino alla trasparenza / fino al limite sottile / di fragilità e di rischio / per sentirle finalmente suonare al tocco delle dita”, come potremmo dire prendendo a prestito i versi di Gianmario Testa.

Le tre poesie in concorso rappresentano un esito felice di questo lavoro di condensazione (le parole sottratte illuminano, colmano e vivificano quelle che restano), che non toglie forza né chiarezza ai versi, ma costruisce con estrema cura una lingua poetica, essenziale, musicale, autentica e comunicativa, per dirla ancora con le parole dell’autrice, “sincera, priva di fronzoli, fedele a sé stessa” (Francesca Del Moro)