Colpi di Voce – Le note introduttive – Enea Roversi vs Giovanni Ibello

Giovanni Ibello

 

Milo De Angelis lo ha definito «il più antico dei nostri giovani poeti» e qualcosa di antico effettivamente c’è, nei suoi versi: lui è Giovanni Ibello, autore napoletano nato nel 1989. Ibello è poeta, ma anche traduttore, direttore di riviste e di collane editoriali: ha all’attivo due libri che hanno ottenuto riconoscimenti e dei quali si è parlato parecchio nel mondo poetico.

Oggi ci leggerà quattro testi tratti dal secondo, Dialoghi con Amin, uscito nel 2022 per Crocetti Editore: la dedica posta dall’autore all’inizio del libro così recita Alla poesia, che mi farà solo, a rimarcare la solitudine di chi scrive, come condizione necessaria per l’atto della scrittura, nel momento in cui si compie.

Scrive Milo De Angelis nella sua introduzione: «Giovanni Ibello è il più antico dei nostri giovani poeti. Il suo verso si immerge nelle origini, possiede il respiro cosmico dei poemi greci e indiani, è ricco di archetipi, presagi, divinazioni, tutto un universo di simboli arcaici che però viene esplorato da una parola conficcata nei nostri giorni.».

La poesia di Ibello è popolata di numerose immagini, cariche di simboli e di riferimenti, di luoghi e di personaggi. Ci sono lo Yucatan, Amin, la Mesopotamia, Xanita, Giovanni, il deserto, Napoli, Maradona, i fuochi, il mare: parole e immagini che vanno a comporre un alfabeto poetico-filosofico denso e articolato, nonché meticoloso nella ricerca e rigoroso nella propria definizione.

Ibello è autore imaginifico e concreto al tempo stesso: i suoi versi sembrano contenere a volte i colori di un dipinto di Klee, mentre altre volte richiamano il bianco e nero delle fotografie di Letizia Battaglia, in un gioco di contrasti e di rimandi di grande suggestione.

Si pensi a versi quali È tutto calmo / qui è davvero tutto calmo, / il sole è una biglia di benzodiazepine oppure Rivelo la sintassi del crollo: / un urlo angelicato, non si muore o ancora I temporali negli specchi / e nessuno spazio vitale / oltre la curva del sonno ma gli esempi potrebbero essere davvero molteplici, ricca com’è la poesia di Ibello di simbologie e di preziosità.

Delle epigrafi che Ibello ha inserito nel libro, mi piace segnalarne due: la prima è La poesia è un lunghissimo addio, mentre la seconda recita, quasi ad ammonimento nei confronti del lettore, Scrivere, ammettere la colpa.

Addio e colpa sono sicuramente due sostantivi che pesano come macigni: proclamano e contemporaneamente sollevano riserve. Quale addio caratterizza la poesia? L’addio  riguarda il testo o è invece una sorta di testamento da parte di chi lo scrive? E qual è, a questo punto, la colpa di chi scrive?

Dialoghi con Amin è un poema suddiviso in quattro parti: Yucatan, Teorema dei roghi, Be Aware Of God e Luce cariata dall’avvenire e Milo De Angelis (torno alla già citata introduzione) ne parla in questi termini:  « è un grande e originale poema notturno ed è un poema dell’imminenza».

Un poema di luoghi pensati e vissuti, di solitudine e solitudini, di voci ascoltate e di voci dissonanti, nel quale ogni parola è pesata e calibrata e utilizzata nel modo giusto, senza eccessi.

Del resto, non è un caso che Giovanni Ibello, tra le citazioni in esergo, abbia messo questa di Cristina Campo: «Di ogni parola inutile ci verrà chiesto conto.» a suggellare quello che per il poeta è punto imprescindibile, ossia che nessuna parola, in poesia, debba essere usata inutilmente.

E nell’opera di Giovanni Ibello non c’è nulla, davvero nulla, di inutile. (Enea Roversi)