Premio Bologna in Lettere 2018 – Note critiche – Sonia Caporossi su Disarmare il nome di Roberto Ariagno e Caratteri di Francesco Terzago

 

Roberto Ariagno Disarmare il nome (Italic)

 

Sembra imprescindibile, per penetrare la poesia di Roberto Ariagno, tentare di spiegare il significato recondito del titolo della sua ultima silloge poetica “Disarmare il nome”. Quand’è che il nome sostantivo come primum del discorso monolitico, o anche il nomen adjectivum come strascico di sememi aggiunti alla pregnanza frasale del verso, depone le proprie armi? Il nome per Ariagno si disarma decomponendone la struttura composita sottesa alla determinazione di una significazione univoca, si sfrangia di senso e depone la propria pretesa e sottesa esclusività prosaica sezionandone carnalmente l’anelito all’immaginificità, attraverso accostamenti continui e contigui di figure nominalmente rese pure perché sciolte completamente dal proprio immediato sistema di riferimento logico e mentale. L’accostamento libero di immagini è una tecnica postdadaista che in molta poesia contemporanea e postcontemporanea ha trovato rifugio e rielaborazione originale. Nella versificazione di Ariagno il nome si disarma quando la castità del vocabolario si disperde e si impastoia nell’impurezza di un associazionismo mai impostore, mai baro. Il nome si disarma quando torna all’essenza estetica primitiva del suono più che della sintassi, in un’analisi logica dinoccolata e volontariamente claudicante, che anche nell’anacoluto trova porto e scampo per dettare le regole sregolate di un’immaginifica sovrimpressione di parole che radono il suolo, al grado zero del significante. Il nome, infine, nella poesia di Roberto Ariagno, si disarma quando all’indefesso accatastarsi, frasca su frasca, di un’indolente mucchio maculato di lessemi invadenti il senso delle cose, si affianca la fresca resilienza del significato, che torna a emergere intonso dal barocchismo della sovrabbondanza e dell’accumulo, in un’orgia di sensazioni che esplodono debordando spesso fuori ritmo e fuori verso. Per questo la figura cardine della tecnica di Ariagno è l’elencatio, che spesso non consente, durante la lettura, di riprendere in mano le redini della coordinazione metaforica e del fiato, nell’esito estremo finale di disegnare un paesaggio labor-intico assoluto, composto dagli infiniti strati della polisemanticità. (Sonia Caporossi)

 

 

 

 

Francesco Terzago è un versificatore piano e terso, che della movenza narrativa e del periodare ampio fa la sua linea di forza. Egli perpetra l’attitudine alla narrazione di spaccati di vita vissuta attraverso il recupero di un dettato pasoliniano specifico: la quieta osservanza della forza icastica e rappresentativa dell’enjambement come figura di spezzatura sintattica atta a evidenziare le incidenze di senso sparse nel testo è un punto di forza del suo poetare, come anche il recupero di immagini tratte dalla quotidianità più immediata, in una comunicabilità estetica assoluta di gesti, personaggi, ambientazioni, interni ed esterni che si stagliano dallo sfondo panoramico fino ad autoevidenziarsi come correlativi oggettivi di stati emozionali e sentimenti mai stereotipati, bensì sempre dotati di una singolarità assoluta. Poeta della lontananza, ha saputo raccontare in questo modo, per successive ipostasi di sensazioni, lo scacco irriducibile della migranza, del disorientamento urbano ed esistenziale, dello spaesamento e del recupero della propria forza, riportando in termini figurali quasi danteschi a tratti, attraverso un recupero sistematico della similitudine e dell’immagine pittorica, la solitudine, la perdita dell’amore, l’amicizia, la scomparsa dell’individuo fagocitato nelle fauci del mostro metropolitano contemporaneo, come “ricordandoci il sottile discrimine / tra l’esistenza e la mancanza”. Con le ali degli aerei di linea internazionale e i sacchetti di patatine McDonald’s, descrivendo vite avvolte dalla necessità diafana della separazione e della distanza, Terzago ha caratterizzato un territorio narrativo della poesia che riesce a fondere, in qualche modo, la liricità con l’istanza più tipica della poesia civile. Caratteri è un libro che presenta in copertina l’ideogramma cinese Ren ripetuto cento volte, con una singola casella vuota che scorre verso destra a ogni copia, rendendo così ognuna diversa dall’altra. In una nota interna il poeta prescrive al lettore di riempire personalmente quel “vuoto” del carattere. Ren in cinese significa “persona”, ed è così evidente l’allegorismo ammiccante alla necessità imprescindibile di ognuno di saper riempire da sé le assenze e i vuoti di memoria e di senso ognuno della propria storia personale. Attraverso un ripiegamento intimistico e lirico, Francesco Terzago riesce in queste poesie a rimandarci a mente la dimensione metastatica della ricerca della propria centratura. I testi, così come sono ordinati all’interno del libro, assumono la valenza di una sorta di Bildungsroman universale, romanzo in versi di una formazione personale da ragazzo a uomo a poeta. (Sonia Caporossi)