Premio Bologna in Lettere 2018 – Note critiche – Enea Roversi su Distratte le mani di Daniela Pericone e Angina d’amour di Giulio Maffii

 

Daniela Pericone – Distratte le mani (Coup d’idée)

 

 

 

Arrivo da uno sproposito / da crude frasi e voci / che tempo distingue e imploro / d’amore animale – adagio / di natura senza cifrari inizia così, con questi versi di lucida e intensa complessità, la raccolta Distratte le mani di Daniela Pericone. Si rimane, inevitabilmente, colpiti fin da subito dalla capacità di scrittura dell’autrice, la quale costruisce i propri testi come fossero impalcature complesse, che si reggono su equilibri delicati, ma che allo stesso tempo esibiscono una grande solidità. Fa piacere leggere un libro di poesia in cui appare a prima vista, come elemento fondante e imprescindibile, l’amore per la lingua italiana, che viene qui scavata, studiata, analizzata e reinventata. Lontana da certa (ahimè, purtroppo frequente) autoreferenzialità poetica, così come pure da certo esibizionismo narcisistico, Pericone dimostra che è possibile, in poesia, coniugare ricerca ed emozione, forma e spirito, tecnica ed inventiva. La prima delle tre sezioni che compongono la raccolta s’intitola Furori e in essa troviamo riferimenti alle durezze della vita, alla difficoltà dell’essere umano di trovarvi il proprio spazio (Arrivo da un quando / ch’è subito tardi), i versi evocano immagini potenti:un rosso di ferocia oppure scorta abrasa del suo sangue, fino al gioco di allitterazioni della poesia che conclude la sezione: fuori tiro da tutti, fuori da tutti i furori / fuori di me fuori. Nella seconda sezione, intitolata Lucori, s’alternano luci e ombre, come in un album fotografico in bianco e nero: lontana chiarità di un verso o Luce che tua ho lasciato partisse o anche Il buio / è tempio eremita ove riposare. La sezione conclusiva della raccolta ha come titolo Disertori e se per la prima (Furori) il pensiero correva a Steinbeck, qui vengono in mente Boris Vian e la sua canzone/inno contro la guerra, ma la chiave di lettura va verso un altro orientamento. Compaiono parole come vertigine, frastuono, abbandono, scoppio, a fotografare il dubbio, la sorpresa e lo smarrimento di chi scrive, di chi non smette mai di (ri)cercare e scandagliare il linguaggio. Ecco perciò che  una riga / è musica che disordina, l’atto della scrittura necessita di violenza (Imbracciare la baionetta / e crivellare il petto al foglio), ma anche di precisione (disporre con perizia calligrafa / blocchi d’alfabeto esplosivo). La poesia è amata e detestata, si è in perenne guerra con essa, ma Daniela Pericone non compie certo atto di diserzione nei suoi confronti. La scrittura si mantiene potente, fino alla fine, fino agli ultimi versi, questi: sul cuore, avanza d’alta ebbrezza / l’agire, l’eresia. (Enea Roversi)

 

 

Giulio Maffii Angina d’amour (Arcipelago Itaca) 

 

 

 

Vorrei iniziare dalla fine e non si tratta di una velleitaria stramberia. Alla fine del libro Angina d’amour di Giulio Maffii, dopo le ironiche e personalissime note biografiche, dopo l’indice, insomma proprio alla fine c’è una dedica che recita: Il libro è dedicato a Paola senza alcuna angina. È il preludio a una delle più belle poesie d’amore lette negli ultimi anni e lo dico senza timore di incappare in eccessi o iperboli. Versi quali Nessun amore è un amore / se non ha almeno un’intercapedine oppure Ci siamo amati una volta sola / in questa vita e forse in un’altra / sopra l’abito della domenica / ci siamo indossati divorati / baciati e sparati in bocca / un alfabeto intero  sono lì a parlarci della disperata e disperante bellezza dell’amore, dei ricordi che lo stesso evoca, della vita condivisa, assaporando e divorando i sentimenti. E l’intero alfabeto poetico usato da Maffii diventa strumento d’indagine della materia amorosa, analizzandone gli aspetti esteriori e quelli reconditi, si fa corpo e anima, dà voce all’amore e dall’amore prende voce. La scrittura di Giulio Maffii è ricercata: il poeta sceglie e calibra con minuziosa attenzione ogni parola, fin dai titoli delle sezioni che compongono la raccolta. Basta scorrerli per rendersene conto: ognuno di essi potrebbe essere un verso che vive di luce propria: Venti angine d’amore, Una coazione disperata, La mimica del legno, Momentanea abiura, Il fallimento del lutto, La direzione del sangue. L’indagine di Maffii si muove lungo un percorso che privilegia le emozioni ai fatti, senza per questo rinunciare all’osservazione degli oggetti, delle piccole cose quotidiane: 20 centesimi il cartone del latte / le carabattole sotto il lavabo. Lo sguardo sul quotidiano rivela il lato ironico di Maffii: Ci si offre come stuzzicadenti reciproci /ma il legno è fatto in Cina / una riproduzione seriale, anche se ci sono versi che sembrano andare in direzione contraria (Non c’è posto per l’ironia / tra i versi non è serietà). Sta in questa capacità di miscelare ironia e dramma, a mio avviso,  la forza stilistica ed espressiva di Maffii. La  memoria fa apparire ricordi dolorosi: Non ho mai sentito un vuoto / perché un padre non l’ho mai avuto / niente da riempire o maledire. Il ricordo si unisce al presente ed è la passione a fare da collante: Bruciamoci come ceralacca / che di questa vita non rimane niente. Con Angina d’amour Maffii descrive il dolore dell’anima, il male di vivere che è poi lo stesso sofferto da Mr. Prufrock, il personaggio eliotiano a cui è dedicato il poemetto Mr. Prufrock non canta più d’amore, all’interno della sezione intitolata Una coazione disperata. La poesia di Maffii abita in stanze spoglie, i cui muri trasudano ricordi dolorosi e amplessi gioiosi. Il poeta è lì: osserva, trascrive e, come dicono le note biografiche, dorme abitualmente dal lato della porta, ma non disdegna il lato opposto. (Enea Roversi)