Premio Bologna in Lettere 2019 – Le note critiche – Marilena Renda / Giusi Montali

Premio Bologna in Lettere 2019

Sezione A (opere edite)

Marilena Renda, La sottrazione (Transeuropa edizioni)

Prima classificata

 

 

I testi della raccolta sono il resoconto di un processo, come il titolo ci ricorda, di sottrazione, una forma di perdita più subita che ricercata, e anzi imposta dal mondo degli adulti in nome della convivenza sociale. Un amaro constatare che la vita è depauperamento, un allontanarsi da una ricchezza originale, un precipitare verso il fondo:

Lascia cadere tra le altre cose,
il bene degli altri.
Gettalo a manate
quello che ti vollero,

il detto non più.
Le correnti d’aria
muovono in levare

e in avanti

(ma verso il basso, poi)

 

Ma che cosa s’intende per sottrazione? Una perdita di vitalità, di aderenza al proprio io più autentico e spontaneo. Nella prima parte della raccolta la voce poetica considera ciò che ha dovuto negare e abbandonare: i testi appaiono così come il resoconto di una caduta, di un movimento verso il basso, di un appiattirsi, e palesano tutto ciò che è andato perso nel passaggio dall’infanzia all’età adulta (“Il quadro non sarà innocente, | una volta finita la sottrazione. | Quando lo guarderai a fondo, | vedrai che per sbaglio | hai tolto pure le cose vive. | Restano una sedia di schiena | e il contorno da riempire | di un’ombra, | e poco altro per dirti | l’operazione che adesso | puoi fare”).

L’adulto non può più risalire a ritroso fino al momento precedente l’apprendimento della perdita, gli è dato solo opporsi alla sottrazione per brevi istanti, oppure ricordare che un tempo antecedente è esistito e rammemorare un io diverso che non aveva ancora subito tale perdita. Una parte di sé che è rimasta bambina e costituisce ancora un nocciolo duro di resistenza all’apprendimento della sottrazione. È con tale parte del proprio io che la voce poetica intrattiene un dialogo in uno sdoppiamento tra il sé adulto e il sé bambino che è, in un qualche modo, sopravvissuto nelle profondità del proprio io:

 

 

Arriva il giorno che il mondo scompare –
fossi un uccello, non vedrei più il cielo.
Ciò che di me si sveglia, degli oggetti
vede frammenti, come se la notte
li avesse esacerbati. Un silenzio
a cui non serve nulla, non uno iota,
non un ghiaccio su cui camminare.
Se fossi te, chiamerei questo scorno
del mondo velatura, partenza, perfezione.
Invece sono la bambina scomparsa,
la volpe della sera che guarda in controluce
il niente che si apre sotto il suo passaggio.

 

Parlo di apprendimento perché sono la società, la famiglia e la scuola che insegnano a sopprimere la parte più istintiva ma anche più autentica di noi in favore delle convenzioni (“Come hanno fatto per insegnarti | a perdere il tuo nel loro, | a scalcagnarti dietro i passi dei maestri?”). Un processo che non si arresta all’infanzia e all’adolescenza, bensì si approfondisce con l’età, intaccando sempre più gli spazi di libertà dell’individuo.
La seconda parte della raccolta invece mette in scena una serie di bambini e di adolescenti che stanno subendo l’apprendimento della sottrazione, sono quindi sul limine, non avendo ancora varcato la soglia. E quando prendono parola danno voce a una libertà e a una fantasia impensabili per l’adulto. A volte dialogano con gli adulti, altre ne subiscono le imposizioni (ed è un costellarsi di negazioni, di imperativi, di doveri), altre ancora sono gli adulti che osservano i bambini e constatano quanto lavoro devono ancora fare perché essi apprendano la perdita. I bambini infatti resistono, si ostinano a non comprendere, si oppongono all’immiserimento della vita quotidiana e soprattutto all’accettazione di una vita sociale e privata sancita dall’alto, già scritta e incanalata in precisi binari che poco spazio lasciano alla libertà personale e alla singolarità dell’individuo. L’esperienza scolastica si tramuta quindi in un tirocinio di perdita, di sottrazione appunto, che li costringe  ad abbandonare la loro arcadia di giochi, di vitalità e di immaginazione per entrare nei ranghi di un’esistenza sancita dagli altri che peraltro rivela tutta la sua illusorietà (“qui tutti usano concetti relativi | e comandano di saperli a mente, | ma molte cose sono se stesse per convenzione, | nient’altro”). Tale processo di  sottrazione viene rappresentato attraverso i discorsi e le riflessioni di bambini e adolescenti, che costituiscono la dimensione corale della raccolta di Marilena Renda. In un testo, in particolare, nel quale è riportato un dialogo tra un bambino e la maestra, diviene stridente il contrasto tra il mondo infantile e quello degli adulti:

“È il mio insetto, è venuto a trovarmi”,
dice il bambino dalla felpa nera
mentre una vespa sbatte contro il vetro,
dall’esterno, per dire ciao.
“Che sciocchezza”, dice la maestra,
“un animale può sembrare lo stesso,
ma è più facile che sia un altro,
che li somiglia,
un esemplare della stessa famiglia”.

L’adulto, che è già stato toccato dalla sottrazione, vive un ulteriore scacco quando, entrato nel mondo del lavoro, deve subire le regole e violare la sua stessa natura in ossequio agli standard lavorativi (“lui non sa preparare i drink | e ha le spalle che si vergognano,| la velocità, gli dicono, prima di ogni cosa, | e lui si toglie il grembiule, vuole tornare il cliente | di prima, | che beve, | disinvolto, | che paga”). Questa seconda capitolazione viene rappresentata soprattutto nell’ultima parte – intitolata Bambini e costituita da una serie di prose -, nella quale emerge lo sguardo di un insegnante che è stritolato tra due morse: da una parte il dover fare apprendere la sottrazione per esigenze lavorative; dall’altra la propria resistenza che si esplica in una difficoltà nel ricoprire il ruolo di insegnante che deve intervenire sulla natura libera del bambino e del ragazzo. Chi lavora a scuola patisce quindi doppiamente la sottrazione perché rivive quella subita ai tempi dell’infanzia e vive quella causata da un lavoro che sembra perdere sempre più il suo lato umano per sottostare alle imposizioni e alla burocrazia (“Non è senso materno, quello che ti spingerebbe a portarli con te fuori, lontano dalla scuola, da un gelataio o su una panchina. È solidarietà tra oppressi dagli adulti”). E mentre la resistenza dei bambini si esplica nei giochi e nelle storie inventate, quella degli adulti è limitata ai pochi istanti di assenza mentale che ci si concede sul luogo di lavoro (“I momenti migliori non sono quelli in cui dimentichi dove sei, ma quando ti giri verso la finestra e per qualche secondo guardi gli alberi, le macchine, i panettieri con i sacchi in spalla”). Ma poi pure queste fughe vengono frustrate e derise, e ai bambini e agli adulti ribelli viene ricordato che “solo quello che va fatto conta, | non cosa voglio, non quello che mi piace”. (Giusi Montali)