Premio Bologna in Lettere 2019 – Daniele Barresi – Nota critica di Andrea Donaera

Le note critiche agli autori che hanno ricevuto il Premio speciale del Presidente delle giurie alla V edizione del Premio Bologna in Lettere: Daniele Barresi

 

 

 

 

Barresi è un poeta classico, se dotiamo questo aggettivo di una connotazione non scolastica: “classico” perché connesso alle coordinate più solide della tradizione letteraria italiana, mettendo radici – solide e che saranno senz’altro sempre più profonde – in quel contesto di autori che hanno fatto dello “spazio” e del “paesaggio” un grande carburatore espressionistico oramai, appunto, classico.

Agave, cenge, calanchi è un esordio che sembra provenire da un autore irrobustito da uno stile conquistato in molti anni di studio e tentativi: la compattezza stilistica e tematica dell’opera sono mirabili e ci consegnano un “libro di poesia”, non solo una “raccolta di poesie” (tendenza sempre più diffusa tra gli autori della generazione entrante). La circolarità delle scelte linguistiche e della elaborazione immaginifica permette al lettore di immergersi immediatamente nella voce e nelle movenze lessicali di questo autore, che con dimestichezza si sposta su più piani semantici e su una stratificazione di contenuti: da una poetica della spazialità intesa come metonimia diffusa dei brani dell’esistenza  («[…] cambiano stagionalmente / nel bosco le vie, mentono i loro contorni / ed emerge sostanza viscosa, ché la meta / pare al mite di cuore sempre lontana»), si muove verso accadimenti minimi portati emozionalmente  a una ponderosa riflessività con un quid tragico e al contempo lieve e sospeso dal sapore sereniano  («trovavi gli scontrini stinti dagli anni,/ forse mesi, nei fumi del tabacchi / sotto casa. Erano tanti, li gettavi. / Sembra possibile disperdere / il ricordo di una cena, / di un’ora, una colazione all’ombra dei pini, / confonderla di rifiuti»).

Barresi si allinea a una poetica che ha caratterizzato quel Novecento maggiormente figlio di Pascoli, e che arriva fino a noi anche con autori giovanissimi come De Simone, Mazzotta, Fùrnari. Quell’approccio al medium poetico laterale, che strumentalizza (umanamente) spazi e linguaggi, oggetti e parole, per l’allestimento di una semiosfera privata che non ristagna mai in constatazioni diaristiche, ma che tenta il salto verso il magma esistenziale della contingenza, del tempo circostante.  Contribuisce a inserirlo in questo novero di autori anche la scelta – più che evidentemente consapevole – di una lingua estremamente connessa alle esperienze novecentesche: come se fosse ancora troppo presto uscire da quel secolo altamente denso, come se ancora ci fosse una necessità di portare a termine e compimento i dettati del Bertolucci più bucolico e del Zanzotto più disteso, del Bacchini meno “chiuso” e del Piersanti più intenso.

Questo Agave, cenge, calanchi è dunque un libro meritevole, che rientra del tutto in un panorama vivido e pulsante, popolato e animato da giovani poeti che non sciolgono i lacci con il secolo precedente, ma che in un’ottica consapevole tentano un cauto (ed efficace) rimaneggiamento di stilemi e tematiche ponendosi letterariamente all’altezza del loro tempo. (Andrea Donaera)