Premio Bologna in Lettere 2020 – Nota critica di Daniele Barbieri a In tutte le direzioni di Laura Di Corcia

Premio Bologna in Lettere 2020

Le note critiche agli autori segnalati della Sezione A (Opere edite)

Laura Di Corcia, In tutte le direzioni (LietoColle)

 

 

La parola deve portare lontano, deve creare relazioni impreviste, deve alludere senza dire, e così facendo dire mentre sembra dire qualcos’altro. Si incomincia sprofondando nel mito, che appare essere la dislocazione naturale di questo uso della parola.

Così, nella prima sezione di In tutte le direzioni, Laura Di Corcia usa soprattutto i tempi passati del verbo, quelli del racconto, del distanziamento epico, quelli di ciò che non c’è più, ma aleggia, dando significato al presente. Natura e cultura si fronteggiano, si affiancano, sono i poli continuamente rimandantisi reciprocamente su cui discorso e mondo ci vengono incontro: “cercheremo i cadaveri come i maghi d’Africa”, “Non sai che la storia / non risolve niente?”, “Giù, in fondo al cuore / le case si depositano sugli alberi”. Qua e là, ai tempi passati dominanti in questa sezione si affiancano dei presenti e dei futuri non meno epici, non meno mitici, comunque manifestazioni di altrove. Anche le sonorità delle parole si rimandano frequentemente tra loro, e il verso, pur metricamente libero, risuona ritmicamente classico, quasi epico a sua volta.

Proprio per questo l’inizio della seconda sezione colpisce: ci sono le stesse figure, lo stesso intrecciarsi di mito e storia, gli stessi andamenti prosodici, ma ora l’oggetto è il presente, il quotidiano, le relazioni personali e sociali. La Trilogia del rosso riguarda il menarca, e il primo affacciarsi di una bambina all’età adulta, e poi emergono relazioni d’amore, amicizia, emigrazione. Con lo stesso tono di leggenda della prima sezione, le cose del quotidiano si trasfigurano, sembrano venirci incontro da lontano.

Il tema dell’emigrazione emerge vagamente nella prima sezione, con riferimenti all’Africa, si rafforza nella seconda, dove sono gli italiani ad arrivare a New York, senza capire, sperduti; e poi è il tema del poemetto che costituisce la Parte Terza, intitolato antifrasticamente Qui. Con un andamento da tragedia greca (le singole voci di personaggi anonimi, alternate alle parti del coro), la quotidianità della vita si scontra con la storia e con la morte. Le ripetizioni quasi rituali di formule creano una sorta di ipnotica immobilità. Così il Preludio si apre con una serie di “al di là”: “Al di là della cortina”, “al di là di questo vuoto”, “al di là del mare”…, seguita da una serie di “c’è”: “c’è la terra”, “c’è il fiore”, “ci sono le api”, “c’è lo zolfo”… “ci siamo noi”, e l’interminabile periodo (ben 45 versi) con cui si apre il componimento si conclude con un “mentre qui.” È lo stesso qui con cui si riprende immediatamente dopo, come a dare risposta: “Qui c’è la verga malata / il potassio”…

Poi iniziano i monologhi: “Giovane coppia: lui”, “Giovane coppia: lei”, “Madre”, “Giovane uomo che viaggia da solo”, “Uomo di mezza età”, “Gruppo di ragazzi siriani”, “Gruppo di ragazze siriane”. Il mito è qui, la storia è qui, la quotidianità, con i suoi desideri e sentimenti, lo abita (Daniele Barbieri)