Premio Bologna in Lettere 2021 – I Premi Speciali – Silvia Righi

Silvia Righi, Demi-monde

 

Il desiderio, tra le altre cose, è un palcoscenico su cui agiamo i nostri fantasmi più nascosti. Se guardiamo la questione da questa prospettiva, risulta evidente che quello che facciamo sulla scena del desiderio è di una pericolosità mortale, perché in fondo cosa sappiamo della persona che condivide il palcoscenico con noi? Potrebbe perfino approfittare della nostra vulnerabilità per piantarci un coltello nel cuore. Dopo aver letto il folgorante esordio di Silvia Righi, Demi-monde, sono tante le suggestioni e le domande che mi sono venute in mente. Intanto le suggestioni: molte di loro vengono dall’arte contemporanea, da Marina Abramovich alla messa in scena della femminilità di Cindy Sherman fino al cinema erotico di Erika Lust, con gli attori nudi collocati nelle posizioni del desiderio come se fossero dipinti su una pala d’altare; Righi ha chiaramente un immaginario visivo molto preciso, ed è un immaginario molto ricco, popolato di figure, di personae del desiderio e della paura che sembrano provenire non solo da fonti cinematografiche e artistiche ma anche dalla fiaba nera.

Trovo molto suggestiva la definizione che Righi stessa dà del titolo, Demi-monde: uno spazio a metà tra i mondi; uno spazio non colmabile e non definibile, come l’identità, e quindi in definitiva uno spazio di libertà, così come c’è molta libertà non solo nell’idea che si possa sperimentare con la vita e con la sessualità, ma anche nell’evidente desiderio di prendersi delle libertà con la poesia stessa. Il rapporto con la tradizione è vivaddio molto libero, come fa notare Di Dio nella bella prefazione; non sembra che ci sia l’ansia dei poeti anche solo della generazione precedente di compiacere padri o padrini letterari. D’altra parte, come scrive Righi stessa, “orfano è la radice di erede”, ed è come se improvvisamente ci affacciassimo sulla soglia di un’umanità nuova in cui i confini tra i sessi non contano più così tanto, e l’ombra della non-generazione, di relazioni paritarie ma sterili non spaventi più chi si trova a confrontarvisi.

Il libro è suddiviso in tre sezioni piuttosto coerenti e di complessiva tenuta stilistica; nella prima parte di Demi-monde, è come se fossimo gettati sulla soglia di un mondo fantasmatico fatto di creature a metà tra l’umano e l’animale, di strani giochi che sembrano proiettare chi scrive e chi legge-guarda in una dimensione ulteriore della coscienza (“Io sono una mutante, abbraccio il mutamento”, è il suo saggio vademecum, oppure altrove: “Possediamo un mondo nell’altro, ognuno ne ha uno, ci camuffiamo con uno. Plurimi sono gli uno”); tuttavia, questa camera di carne e ghiaccio ha anche i connotati di un bosco, con tutte le implicazioni della metafora del bosco: la paura, la crudeltà, l’essere alternativamente cacciatore e cacciato, spettatore e attore della scena del desiderio, ma quello che alla mutante importa ribadire, più volte nel corso del testo, è l’impossibilità, anzi, la non volontà di arrivare a quella sintesi che volgarmente chiamiamo identità e che, come una coperta troppo corta, non può che lasciare fuori l’irresistibile bisogno di mutamento di Narciso e delle creature in generale: “Prima degli specchi / nessuno / conosceva il volto perfetto / né l’intera figura. / L’increspatura dell’acqua, il difetto / del metallo, chi si sarebbe / creduto uno. / Ora è una congestione / l’immagine, vedersi / il grande paradosso. / Lei si dividerà. Io sono divisa / morta di molte morti / per raggiungere me. / Non avrà il mio volto lo specchio”. (Marilena Renda)