Premio Bologna in Lettere 2022 – Maria Grazia Palazzo – Nota critica di Francesca Del Moro

PREMIO BOLOGNA IN LETTERE

VIII edizione 2022

 

SEZIONE B 

(Raccolte inedite)

La giuria formata da

Alessandro Canzian, Clery Celeste, Giusi Drago

Daniele Poletti, Patrizia Sardisco

conferisce una segnalazione di merito a

Maria Grazia Palazzo

per l’opera

Refrain

 

 

Fin dal titolo della silloge, Refrain, ritornello, Maria Grazia Palazzo sottolinea l’importanza della musica nella sua scrittura, musica che è naturalmente affine alla poesia. In effetti, la cifra stilistica che si impone con maggiore evidenza, anche graficamente, è il continuo trasmutare dalla poesia al canto, di cui sono spia il passaggio al corsivo e i simboli delle note. Una sorta di code-switching, laddove i codici coinvolti nella commutazione non sono due diverse lingue ma due generi, la poesia e la canzone, o l’aria dell’opera lirica. Da Lucio Battisti ad Alan Sorrenti, da Lucio Dalla a Giuni Russo, da Giacomo Puccini agli inni religiosi, da Giuseppe Verdi a Francesco Guccini…  l’autrice attinge a piene mani alla nostra tradizione musicale sfidando il lettore a riconoscere i vari brani e magari a cercarli per ascoltarli. E il senso di sospensione, l’invito a proseguire per proprio conto a partire da quanto viene offerto è un’altra caratteristica precipua della raccolta: pur mantenendo perlopiù una punteggiatura regolare, salvo alcuni casi in cui si rinuncia alle lettere maiuscole in apertura di frase, le poesie non sono mai chiuse da un punto, ma rimangono in sospeso senza alcun segno di interpunzione oppure terminano con un punto interrogativo o esclamativo. Forse per lasciare che le parole continuino a risuonare nella mente, o nella consapevolezza che il pensiero, soprattutto se stimolato dai versi, non può interrompersi.

“Canto” è una delle parole chiave della silloge, da intendersi come ritualità, patrimonio di una comunità, libera espressione spirituale e tensione verso la libertà (non a caso, è due volte citato Il mio canto libero di Lucio Battisti), quest’ultima evocata anche dalla simbologia del cavallo e del bosco. Altre parole chiave riconducibili al medesimo campo semantico sono “suono”, “voce” e “richiamo”. Sembra di poter riconoscere nella dimensione sonora l’anima di tutte le cose, anima mundi, e la musica è nelle poesie stesse, ciascuna composta da sette versi liberi e sostenuta da una ricca trama di assonanze, rime e allitterazioni.

“Dammi i colori” si cita dalla Tosca e in effetti l’altro campo semantico che ritorna a più riprese nei versi è quello dei colori: si va dai “teneri azzurri” al “pigmento bianco e nero”, dai “pesci e i rizomi rossi” alle “bianche lenzuola”, dal “tempo magenta” al “viola selvatico” delle more, alla sequenza delle sfumature dei capelli-radici (porpora, granata, amaranto) fino al giallo, l’arancio e il fucsia della terra, alla stagione screziata vinaccia. Suoni e colori animano l’universo poetico dell’autrice e le consentono di affrontare in modo originale temi universali come l’amore e la morte. L’amore, vera parola chiave della silloge, è nominato ben otto volte, inteso come passione, sesso, coraggio, alternativa alla disperazione, infrazione delle consuetudini borghesi, rivoluzione. Anche la morte è una presenza costante nella poesia come nella vita e costantemente ci invita a fare i conti con la nostra fragilità, con la vanitas vanitatum. Si profila nelle parole di Adriano, non citate ma ovunque echeggianti, in quell’animula vagula blandula pronta a lasciare il corpo per varcare la soglia tra questo mondo e l’altro ancora ignoto. Adriano è qui una figura cruciale, insieme alla città di Roma, con il mausoleo che ospita i resti dell’Imperatore e il Tevere poco distante. Nella consapevolezza della nostra caducità, l’autrice si fa a più riprese alfiera di una più equa e collaborativa convivenza umana, invoca una giustizia sociale, un’uguaglianza tra le persone che è ancora tutta da costruire. Sono i casi in cui il dettato lirico dominante sfocia in uno slancio civile, denunciando apertamente le disparità economiche, i soprusi in ambito lavorativo, la tragedia delle migrazioni, gli effetti del distanziamento sociale in tempo di pandemia e l’indifferenza dei governi. (Francesca Del Moro)

 

 

Maria Grazia Palazzo. È nata in valle d’Itria a Martina Franca (Ta) nel 1968 e vive dal 2006 a Monopoli (Ba). Ha esercitato la professione di avvocata per oltre 20 anni. Otto anni fa, con la maternità adottiva, e dal 2015 con la seconda laurea in scienze religiose, è impegnata in un nuovo percorso, tra scrittura e formazione, con uno sguardo particolare alle questioni di genere. Attualmente è insegnante precaria nella scuola. Appassionata di musica e di viaggi, sogna un Paese con uno stato sociale più dignitoso e accogliente. Ha pubblicato in poesia: Azimuth, (LietoColle Editore 2012), In punta di Piedi (Terra d’Ulivi Edizioni 2017), Andromeda (i Quaderni del Bardo 2018), Toto Corde (la Vita Felice 2020), Stanza d’Anima) Collettiva Edizioni 2022). Ha partecipato a collettanee, anche in prosa, per diverse case editrici. Collabora con contributi critici, su libri o temi di interesse, anche sul web, per Carte Sensibili e Spagine, magazzino di poesia online. Ha a cuore la relazione tra le persone, i saperi e le arti.