Colpi di Voce – Le note introduttive – Sonia Caporossi vs Francesco Terracciano

Francesco Terracciano

 

Nella poesia del quotidiano non esiste solamente l’ascendenza sabiana: esiste, al contrario, un punto di rottura, un ingranaggio che si inceppa e ci riconsegna alla necessità di dire in modo altro ciò che emerge all’evidenza della prassi, non foss’altro che il dipanarsi esperienziale del vivere. Con i testi di Eserciziario di formule brevi, Francesco Terracciano tenta una via espressiva della quotidianità che corrisponde all’ostensione del reale per il tramite del suo perfetto contrario, ovvero attraverso la dimensione del sogno, nel superamento della dicotomia tra sonno e veglia che, di norma, ottenebra la forza evocativa del primo a vantaggio della pragmatica dozzinalità della seconda. L’atto del mostrare il gesto normale lo spinge fuori dalla normatività dell’habitus e fa a brani le fibre tessute in modo stringente dal cucirino epistemologico della realtà. È, questa, una Realität che si scopre pian piano tra uno strato e l’altro dell’essere, attraverso un atto che è, insieme, denotativo/descrittivo e fàtico, perpetrato dal poeta per stabilire un contatto tra l’io e il tu, abbocco comunicativo che prima o poi, destino vuole che venga chiuso. E questo tentativo di contatto tra un due, di relazione o scambio svolto con l’apostrofe alla seconda persona singolare è, in Terracciano, sempre enucleata senza alcuna epica, bensì nel senso più pieno di un lirismo consapevole, unica via che, in questo caso, possa compiutamente pervenire all’espressione coerente del privato. A quel punto, proprio passando per l’onironautica di una poesia che racconta continuativamente sogni più reali del reale (perché del reale, invero, sono la rappresentazione immaginifica più perfetta), la connotazione, il traslato metaforico di portata simbolica, insito necessariamente e per via natura in qualsivoglia dire poetico, viene a manifestarsi da sé. Infatti, nei sogni enumerati in questa raccolta, il pannello veritativo dell’enunciato si fa iperreale proprio attraverso il filtro onirico, raccontandoci l’intrico sensibile e potente di una relazione a due che sfuma, priva di edulcorazioni e piaggerie, nel quieto dramma di una separazione annunciata, quella della morte, ma nel ricordo attualizzato e nella dolcezza di un tentativo, mai compiuto fino in fondo, di autoriconoscimento nell’altro, laddove ci si può senza timore abbandonare, perché, sul confine tra la realtà e il sogno, il perdersi coincide puntualmente con la fenomenologia di un ritrovarsi. (Sonia Caporossi)