Premio Bologna in Lettere 2020 – Nota critica di Clery Celeste a Desunt nonnulla-Piccole omissioni di Sandro Pecchiari

Premio Bologna in Lettere 2020

Le note critiche agli autori segnalati della Sezione B (Raccolte inedite)

Sandro Pecchiari, Desunt nonnulla – Piccole omissioni

 

 

Desunt nonnulla – Piccole omissioni è una raccolta che tenta di fare del tratto materico del corpo un suono, una parola, un verso. Trasformare ciò che deperisce, ciò che crea dolore, ciò che cura in qualcosa di poetico, di dicibile senza intralci è una sfida che questa raccolta accoglie e supera. Il corpo si può toccare, annusare e la malattia è qualcosa che entra in questo corpo che pare un nucleo chiuso, un involucro perfettissimo e incorruttibile e lo sfianca dall’interno. La cura spesso è il bisturi, la siringa, le flebo: la cura è qualcosa che tenta comunque dall’esterno di entrare, è invasione anche quella fatta di lenzuoli bianchi di cotone. Di finestre alte in una camera di ospedale. Desunt nonnulla – Piccole omissioni è una raccolta per non dimenticare, non si omette proprio niente in realtà.

L’autore appunta i passi stretti dei giorni, i momenti scomodi e i momenti pieni di tenerezza per non dimenticare perché “la vita da ora si misura in meno/ parole da scambiare/ saranno bottino/dopo”. La poesia quindi diventa incisione su pietra, si incide il suono per non dimenticarlo, perché altri possano prima del trauma sapere cosa c’è.  Desunt nonnulla – Piccole omissioni è esempio di dialogo costante tra udito e tatto, tra parola e presa. La presa delle mani alla barriera del letto non è meno importante di una parola detta obliqua all’infermiera. L’autore scrive cercando di trasformare la crepa del proprio corpo in una feritoia per la parola: “è immediato il tragitto dalla pelle all’osso/ non se non siamo affetti dall’addio, dicevi/ nell’afasia riarsa dell’attesa”. Questa silloge ricalca le cicatrici del corpo per farne simbolo e segno di qualcosa che possa fare attraversare anche al lettore i mondi del dolore e della morte, farlo passare in questa terra come uno sciamano che scopre i primi suoni sacri. “Scoprendo che non hai/ percorso un campo arato/ che non hai appreso a divinare/ la geomanzia delle cicatrici”. Il poeta quindi dovrebbe portare il lettore a conoscere questi segni incisi come cicatrici per ricordarci di non omettere nulla, quel che non è straordinario non deve essere dimenticato. E’ nel gesto che si compie ai lati della stanza che sta spesso lo scarto delle grandi decisioni.

Ma il corpo sa tutto/ e scrive e separa la fine/ in una privacy di vuoto tra i paragrafi”: sta in questi versi la distanza tra corpo e parola che però in questa silloge viene ad avvicinarsi, a tentare un contatto. A tentare la zona di vuoto tra ghiaccio e fuoco, un vuoto di creazione. L’autore apre questo varco bianco utilizzando termini anatomici, scomodi da pronunciare e faticosi da ascoltare, li inserisce nel ritmo del verso e li rende necessari alla narrazione. Come se il verso non potesse poi più fare a meno anche di questo suono insolito, come se fosse necessario alla verità anche la parola scomoda (Clery Celeste)