Premio Bologna in Lettere 2021 – Enea Roversi su Franca Mancinelli

Premio Bologna in Lettere 2021

Sezione A (Opere edite)

Franca Mancinelli

Tutti gli occhi che ho aperto

(Marcos y Marcos edizioni)

 

 

Nota critica di Enea Roversi

 

 

 

 

Gli occhi di Franca Mancinelli: sguardo su uomo e natura

 

 

Questo libro contiene tre pagine bianche, una fine e inizio che si ripete. Iniziano così le note che Franca Mancinelli ha posto in calce alla sua raccolta Tutti gli occhi che ho aperto (Marcos y Marcos, 2020).

E in effetti, come in una sorta di percorso circolare, il libro si apre e si chiude con due sezioni accomunate dallo stesso tema: la rotta balcanica percorsa da migranti e rifugiati che cercano di raggiungere l’Europa, viaggio di speranza e disperazione insieme.

La sezione iniziale s’intitola Jungle: con questo nome (è la stessa Mancinelli a chiarirlo nelle succitate note) vengono indicate le zone boscose della Serbia nella quale si accampano i migranti e i rifugiati in attesa di passare il confine con la Croazia.

Ed è in questo scenario che ha luogo un tragico gioco, nel quale si susseguono i tentativi di attraversamento e i respingimenti violenti da parte della polizia, un teatro degli orrori fatto  di manifesta protervia e quotidiana umiliazione.

Nei versi di Mancinelli viene messo a fuoco il dramma vissuto in queste zone: posti che paiono lontani, ma sono molto più vicini a noi di quanto si possa pensare: qui non possiamo restare altro tempo. È freddo. Non abbiamo più soldi. Ma possiamo avere fortuna. Prego ogni notte. Stamattina, tra le forcelle dei rami, mi è apparsa un’anima.

I rami, così come le foglie, gli alberi e la terra, sono elementi che ricorrono ripetutamente nella raccolta di Mancinelli: si prendano a esempio i versi Siamo qui, su questa intelaiatura di foglie oppure ramifico secondo la luce / alberi maestri o ancora Non c’è vaso né giardino. Soltanto la terra.

La sezione finale, nella quale pure la rotta balcanica è al centro della narrazione, s’intitola Diario di passo e prende spunto (come Jungle del resto) da un’esperienza vissuta in prima persona dall’autrice: qui Mancinelli sceglie la forma della prosa breve, attraverso la quale compone un capitolo denso di appunti, un racconto a metà tra il diario e il reportage, in cui l’occhio dell’autrice inquadra l’uomo con le sue antiche tragedie e la natura che, circondandolo, pare osservarne gli eterni errori.

L’inizio di Diario di passo recita: non è un caso che sia caduta la neve, coprendo questa terra, cancellando le tracce di tutti quelli che hanno vegliato e bivaccato al confine e Mancinelli qui definisce in poche righe il senso di un dramma, con una prosa icastica  e improntata a un doloroso realismo.

Le altre sezioni della raccolta s’intitolano Alberi maestri, Tutti gli occhi che ho aperto, Luminescenze, Specchio ricurvo, Tre sillabe di silenzio, Frammenti per una dedica.

La scrittura di Mancinelli è caratterizzata da testi brevi, a volte brevissimi, dei rapidi flash, come questo, contenuto nella sezione Alberi maestri e che recita: fanno un rumore secco / le cose che sono state vive.

C’è, in questo distico di folgorante bellezza, l’intero senso della raccolta e della poetica di Mancinelli: c’è tutta la drammaticità del visto e del non visto, ci sono la perdita e il ricordo, c’è la poesia che si fa cronaca ed elegia.

Mancinelli opera per sottrazione, limando i propri versi fino all’essenziale, senza per questo rinunciare alla liricità: non avviene, nella sua poesia, una scarnificazione della parola, ma un lavoro di finitura e di analisi del linguaggio.

Ci si ritrova quindi con le parole di Giovanna Rosadini, la quale, nella sua introduzione a Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi, 2012) ha scritto che la poesia di Franca Mancinelli è fatta “di un linguaggio essenziale ed ellittico”.

Basta aprire una pagina a caso di Tutti gli occhi che ho aperto per avere un saggio delle capacità dell’autrice di condensare un microcosmo letterario in pochi versi: era inerte l’aria, percorsa da tremori e scosse (dalla sezione Alberi maestri) oppure franato dal mondo / il suo corpo di pietra premeva (dalla sezione che dà il titolo all’intera raccolta) o ancora c’è un punto in cui la vita si rovescia / diventa scrittura morse (dalla sezione Luminescenze).

Questa presenza costante degli elementi della natura, che appaiono non soltanto come immagini, ma oserei dire anche come suoni (nel corso della lettura pare infatti di udire il rumore del ramo che si spezza o della foglia secca e della terra calpestate) rimandano alla lezione di Zanzotto e al suo testamento poetico, ma pure altri rimandi si affacciano.

Ho trovato, nella lettura di questo libro, anche similitudini con alcune voci della poesia italiana contemporanea: penso per esempio al lavoro su uomo e natura che sta portando avanti da anni Nina Maroccolo con le sue Macerazioni.

Al centro della natura, come si è detto, c’è l’uomo: ferito anche lui, come la natura che egli stesso ha ferito e continua a ferire, l’uomo che pare non avere imparato nulla dalla storia, che pare indifferente alla memoria.

Con Tutti gli occhi che ho aperto Franca Mancinelli vuole ammonirci su questo: partire dallo sguardo sul presente e sugli orrori di cui è lastricato, dare un senso alla memoria, per non disperderne il valore e per non ripetere gli errori del passato: la sua è una raccolta notevole spessore semantico e di cristallino valore, che la conferma come una delle voci poetiche italiane più significative della sua generazione, ma non solo.

 

Foto Dino Ignani

 

 

Franca Mancinelli è autrice di quattro libri di poesia: Mala kruna (Manni, 2007 -premio opera prima Laudomia Bonanni e Giuseppe Giusti), Pasta madre (con una nota di Milo De Angelis, Nino Aragno, 2013 -premio Alpi Apuane, Carducci, Ceppo-giovani), Libretto di transito (Amos edizioni, 2018), e Tutti gli occhi che ho aperto (Marcos y Marcos, 2020). Una silloge di suoi testi è compresa in Nuovi poeti italiani 6, a cura di Giovanna Rosadini (Einaudi, 2012) e con introduzione di Antonella Anedda, nel Tredicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea, a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos, 2017). Traduzioni di suoi testi sono apparse su riviste e antologie straniere. Ha partecipato ad alcuni progetti internazionali, tra cui Chair Poet in Residence (Calcutta, 2019) e Refest – Images and Words on Refugee Routes (2018) da cui è nato Taccuino croato, ora in Come tradurre la neve (AnimaMundi edizioni, 2019). Con traduzione inglese di John Taylor sono usciti in Usa per The Bitter Oleander Press, The Little Book of Passage (2018) -traduzione di Libretto di transito– e At an Hour’s Sleep from Here: Poems (2007-2019), una raccolta dei suoi primi due libri con alcuni inediti.