Rossella Maiore Tamponi, Il novantesimo grado. Nota critica di Marilena Renda

Premio Bologna in Lettere 2021

Rossella Maiore Tamponi, Il novantesimo grado. Nota critica di Marilena Renda

 

Già dal titolo, questo libro di Rossella Maiore Tamponi rimanda alle teorie sull’arte del pittore astrattista Piet Mondrian, i cui scritti costituiscono la traccia esplicita su cui è costruita l’impalcatura concettuale del libro. Il novantesimo grado fa riferimento infatti alla posizione ortogonale di due rette, secondo Mondrian la più perfetta, perché “esprime il rapporto di due estremi”. Questa affascinante definizione si traduce lungo tutto il libro di Maiori nello sforzo di trasferire le linee di Mondrian in una sorta di mappatura del mondo visibile e invisibile agli occhi della poetessa. L’esempio principe di due linee ortogonali che si incontrano è quello di due innamorati che, come in un angolo retto, si muovono all’infinito ma, almeno in un punto, sono sempre uniti; tuttavia, il campo semantico geometrico si sviluppa nella poesia di Maiore in modi e direzioni sempre diverse; non sempre visualizziamo il campo di forze come sarebbe prevedibile date le premesse teoriche e, nel corso dei testi, l’uso del termine “linea” forse è un po’ troppo insistito, ma in molti momenti abbiamo la sensazione che il linguaggio possa tradurre veramente qualcosa della percezione che a tratti abbiamo del mondo sovra-sensibile, qualcosa “Come i bambini che rimangono a casa / dietro i vetri di un giorno in pieno sole / rimpianti e vagheggiati dalla luce”, o come questa visione che irrompe improvvisa e taglia in due la luce del giorno, la traiettoria del quotidiano: “Dalle antenne sui tetti / al bicchiere mezzo vuoto / è una linea obliqua”. Se esercitiamo lo sguardo tutto, dal decadimento di un albero ai movimenti dei bambini per strada traccerà delle linee che parleranno di perdita, di attaccamento al mondo, di difesa a oltranza di quello spazio della percezione che ogni giorno si apre tra lo sguardo e le linee che questo sguardo disegna. “La torma delle cose”, come la chiama Maiore, si affolla sulla linea dell’orizzonte, si intreccia agli oggetti e alle membra del corpo, e anche l’amore gioca sulla linea tra vicinanza e lontananza, oltre che tra parola e silenzio, una partita non solo di sopravvivenza, ma anche di rilancio, di scommessa vera: “Ci sei fra le linee precise / che seguono il falso. / Siamo io e te / nello schianto del sisma / fra il certo e il fantasma. // Il corpo esatto gioca la partita / del rilancio”.