Alessandra Carnaroli, Poesie con katana. Nota critica di Marilena Renda

Premio Bologna in Lettere 2021

Alessandra Carnaroli, Poesie con katana. Nota critica di Marilena Renda

 

Alessandra Carnaroli esercita da sempre il diritto della poesia alla crudeltà. Non si creda che sia facile piegare la propria voce poetica all’espressione della crudeltà: serve innanzitutto l’autorizzazione interiore a servirsi della libertà di dire le cose, e di dirle, come nel caso del suo recente Poesie con katana, nella maniera più cruda e vera possibile. Ho scoperto la poesia di Carnaroli leggendo Femminimondo, un canzoniere spietato e durissimo sulla violenza sulle donne. Lì, gli episodi di cronaca erano riportati facendo largo uso di dettagli delle vite delle protagoniste, e l’effetto complessivo era di un accumulo quasi soverchiante per lo stomaco di chi leggeva. Non si tratta di una scrittura che possa lasciare indifferente il lettore, e per questa ragione è totalmente lontana dalle cautele stilistiche di tanta poesia contemporanea visibilmente preoccupata di rimanere nei ranghi di quello che è considerato accettabile dalla comunità di lettori eletta come proprio riferimento. L’effetto paradossale della poesia di Carnaroli è che è al tempo stesso sorvegliatissima e pulsante di calore e di indignazione (riflettere su questo, quando si parla della natura della poesia civile e della sua presunta assenza dalla scena italiana, oltre che di una sua presunta impossibilità).

Nelle sue Poesie con katana (Miraggi 2019) Carnaroli, rispetto alle prove precedenti, segue un procedimento (già osservato per esempio in Primine) di sottrazione e di rastremazione del verso; le storie di queste prostitute private della libertà sono concentrate in brevi e fulminei frammenti, delle microstorie direi, icastiche e piene di forza, a cui il procedimento di sottrazione aggiunge potenza anziché toglierla, e anche l’uso della rima e delle assonanze ne potenzia l’effetto ossessivo. La katana del titolo fa riferimento all’affilatezza del linguaggio, unica arma a disposizione dell’io poetante che, nel dire io, entra nei panni delle vittime e non fa sconti ai carnefici, di solito tranquilli padri di famiglia nascosti dietro le cortine del proprio perbenismo. L’arma del linguaggio li svela per come sono realmente, dice la verità, si sforza visibilmente di non nascondere proprio nulla, di dire assolutamente tutto. Per rovesciare un’affermazione di Anne Carson, Carnaroli pensa che la poesia “non” debba coprirsi gli occhi mentre parla. E’ uno sforzo importante, per un poeta, ma Carnaroli sembra avere energie pure per noi:

hai mai pensato

se ti uccido

 

tante volte

ma poi rivivo.

 

Nella seconda sezione, Murini / Inserisci un’emoji, Carnaroli mette a reagire alcuni discorsi che negli ultimi anni hanno trovato nella Rete il proprio terreno di coltura privilegiato (no-vax, no eutanasia, complottismo) con gli emoji che normalmente usiamo per comunicare sui social network, e l’effetto collisione fa sembrare l’idiozia del mondo praticamente raddoppiata, :

 

quanti neuroni gli sono rimasti

pari o dispari? / faccia che ride con occhiali da sole

 

cervello a groviera

come dopo uso smodato

di droga sintetica / faccia che ride con occhiali da sole

 

miley cirus fa milioni

con la metà dei suoi neuroni / ok faccia con dollari al posto degli occhi conigliette

che ballano

ah ah ah